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30 set 2019

Perché studiare

di Luciano Caveri

«Studia, studia». Se ci si pensa per un attimo era questo, sin da bambini, un refrain compulsivo pronunciato da qualunque adulto si incontrasse ed a qualunque classe sociale, senza distinzioni, appartenesse. Non era solo un modo di dire, ma faceva parte di un filone positivista che sopravviveva al Novecento e che riteneva che la Pubblica istruzione fosse e restasse una strada maestra verso il progresso personale e dell'umanità. Esisteva questa consapevolezza, se non questa convinzione, dello studio come sicurezza per la vita e persino come riscatto ed ascensore sociale, senza nulla togliere alla dignità di ogni lavoro. Questa idea di un'etica dello studio era - così mi diceva mio papà - presentissima nella famiglia Caveri, dove la laurea era considerata un obbligo e non per apparenza o appartenenza, ma come chiave di volta per una propria conoscenza.

Io stesso - diventato giornalista professionista - mi sono poi laureato (e alla seconda mancherà per sempre la sola tesi...), perché sapevo che per mio papà era considerato un dovere e anche perché - per chissà quale forma di trasmissione - mi sentivo debole in assenza di una laurea, che ho conseguito con grande piacere, perché ti trovi ad approfondire materie che ami ed a studiarne anche che non sopporti, ma ti tocca e questo fa scuola più di mille materie. Ora, visto che il tempo passa, la laurea l'hanno presa entrambi i miei figli grandi e son certo che non si fermeranno a quella stranezza della laurea triennale, ma ci daranno dentro con la magistrale. Non so dire francamente quanto sia rimasta e quanto sia ormai fondata questa idea della laurea come scopo e sicurezza. Tante Università, una miriade di facoltà, persino Atenei on line hanno arricchito la proposta e talvolta vedo materie di insegnamento che mi lasciano perplesso. Resta da capire se l'idem sentire dello studio come valore sia rimasto o si insegua l'idea ingenua di mondo sportivi o dello spettacolo che consentano di essere un'alternativa, ammesso - lo ripeto per evitare equivoci - poi che si possa generalizzare rispetto a mondi che si sono evoluti. Per non dire della politica, dove persone senza arte né parte sono assurte a ruoli decisivamente superiori al loro curriculum ed alle loro conoscenze. Circostanza grave in epoca in cui il diritto allo studio può agire per chi dimostri doti e capacità, senza dovere - come capitava per qualcuno in passato - scegliere di essere autodidatti per l'impossibilità di seguire il percorso regolare di studio. Eppure l'abbandono scolastico colpisce ancora duro in Valle, restano pochi i laureati, l'impressione è che e persistano sacche di analfabetismo non solo di ritorno. Con il piccolo e decrescente numero di giovani sono occasioni da non perdere e l'istruzione e la formazione non finiscono con la scuola dell'obbligo e devono arricchirci ad ogni età. E così che si costruisce e si mantiene per altro la cittadinanza consapevole, che non obbliga a chissà quali livelli di preparazione, ma vale anche il rischio inverso di una democrazia che resta elemento misterioso per chi non ne conosca almeno i rudimenti. Certo, guardo con apprensione al passaggio dei miei figli verso il mondo del lavoro, reso ormai incerto e cangiante e, per la nostra Valle, con un numero impressionante bei giovani che sono "cervelli in fuga" non solo per scelta, ma spesso con necessità per le poche prospettive e un humus non stimolante per chi percorra idee professionali o imprenditoriali. So quanto il mugugno non serva, ma tocca riflettere per evitare che non ci sia solo il cambiamento climatico, ma anche il deserto intellettuale ed il vuoto occupazionale.