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01 nov 2019

Il voto umbro con un occhio alla Valle

di Luciano Caveri

«Tu che ne sai di politica...». Capita che interlocutori diversissimi tra loro e con toni diversi nell'uso della frase (serio, ironico, ruffiano, affettuoso...) mi pongano domande come si faceva - immagino - con gli "anziani della tribù", cui si riconoscono esperienza e saggezza (forse). La verità è che talvolta non capisco proprio un tubo: è il caso della politica valdostana, che sembra ormai una "telenovela" o, se preferite, un "feuilleton" in cui si raccontano storie a tinte forti con buoni e cattivi intercambiabili e giochi di potere con al centro il Palazzo regionale. Ora mi pare, ma non conosco ancora il copione, penso che siamo alla puntata che potrebbe prevedere la giusta defenestrazione dalla Presidenza della Regione di Tonino Fosson. Come, quando e con quali scenari successivi non sono in grado di dirlo e resto convinto che varrebbe la pena di votare in fretta. Ma, si sa, che in Consiglio Valle sono in troppi a remare contro le urne, per lo più per umano spirito di autoconservazione.

Ma oggi a dominare la scena, com'era prevedibile, sono proprio le urne con le elezioni in Umbria, che commento a caldo dopo la notte degli scrutini. Per cui sarà vero che mi sveglio presto, pure agevolato oggi dall'ora solare che nel mio sonno bisticcia ancora con quella legale e turba i miei ritmi circadiani, ma proporre osservazioni a caldo vuol sempre dire fare le cose in fretta. Per cui ricorro a due commenti letti poco fa. Osserva Alessandro De Angelis su "Huffpost": «La dura replica della storia rispetto a un'alleanza e a un governo senz'anima, nato nel Palazzo, è nel primo voto del paese reale. Sono i numeri di un tracollo e di uno spostamento a destra senza precedenti quelli della prima regione rossa espugnata. Un ribaltamento totale della sua storia e delle sue radici. Eccoli, i tre dati del voto: il centrodestra vince raggiungendo quasi il sessanta per cento, con oltre venti punti rispetto al centrosinistra; solo la Lega, che più o meno conferma il dato delle europee, prende più di PD e M5S messi assieme; all'interno del centrodestra Lega e "Fratelli d'Italia", la destra "sovranista", sono pressoché autosufficienti, quasi al cinquanta per cento. E non è irrilevante il risultato di Giorgia Meloni, l'unico partito che cresce (dal 6,5 al dieci) rispetto al voto del 26 maggio». Ma quel che colpisce sono il successo della Lega, primo partito in una Regione da sempre governata dalla Sinistra e la catastrofe dei pentastellati che scendono al sette per cento. Sullo stesso giornale on line scrive Gabriella Cerami: «Luigi Di Maio, in Umbria, vede l'abisso, si arrabbia, immagina già il day after sotto l'attacco dei suoi. Dunque si gioca una carta, quella di dare la colpa all'alleanza con il PD dichiarando fallito l'esperimento. In realtà il capo politico è in un cul de sac e non sa come venirne fuori. Quando prova a invocare la "terza via", che deve guardare oltre i due poli contrapposti, appare evidente come un'idea chiara non ce l'abbia se non la consapevolezza che l'alleanza in Umbria sia apparsa come un accordo del centrosinistra contro il centrodestra». Il risultato parla chiaro e spinge verso le urne, chiudendo l'esperienza bizzarra giallorossa. Giuseppe Conte, Premier senza partito e voti, proverà a resistere ed appare ormai patetico il segretario PD Nicola Zingaretti, grande cantore dell'alleanza con i pentastellati. Ne vedremo delle belle. La situazione italiana resta piena di dubbi e interrogativi, come in Valle d'Aosta e non è vero che "mal comune è mezzo gaudio". Infine un dato confortante per tutti: dopo anni in cui scendeva la partecipazione al voto e l'astensionismo dilagava, gli umbri sono andati più del recente passato alle urne, segno che quando esiste una posta in gioco il voto interessa ancora.