Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
20 mag 2020

Resta dura la partita contro il coronavirus

di Luciano Caveri

Stanchi siamo tutti stanchi. Non è una stanchezza fisica, ma mentale. Il confinamento e le sue regole varie e soprattutto invasive e persino minacciose (ai posti di blocco ci batte il cuore, come se fossimo dei banditi) hanno occupato la nostra vita manu militari, facendola deragliare dalle sue più elementari abitudini ed in sostanza rendendola peggiore, in barba alla retorica di cui ho piene le scatole. E questa storia ha investito tutte le età: dai più vecchi che hanno rischiato la pelle perché più esposti e con la sgradevole sensazione di poter essere sacrificati se necessario, senza una Rianimazione per salvare la pelle ai più piccoli che si sono trovati senza scuola e oggetto di dispute, persino sindacali, tra chi avrebbe voluto qualche tentativo di rientro a scuola e chi non ne voleva neppure sentir parlare, sostenendo che la "didattica a distanza" sarebbe un nuovo modo di fare scuola (aiuto!). Per non dire di categorie come gestori di bar, ristoranti, barbieri e pettinatrici diventati gli ultimi della fila e trasformati in geometri nella gestione degli spazi dei loro locali in queste ore concitate in cui le regole arrivano, come sempre, all'ultimo minuto con riunioni fiume e dichiarazioni contraddittorie.

Spicca ormai il "metodo Conte", il premier che dà un colpo al cerchio e uno alla botte, facendo l'equilibrista fra molte fazioni di un esecutivo litigioso (ma con i "pentastellati" calabrache). Certa mediocrità lo fa salire nei sondaggi e questo, più di altro, fa capire dove siamo finiti. Il grigiore piace a molti e bisogna farsene una ragione, perché serve come contraltare al sovranismo e dunque la filosofia dell'accontentarsi di cosa passa il convento diventa una certezza e guai a sperare in meglio. In Valle d'Aosta l'ultima ordinanza - si legge nel testo - è stata quasi in toto copiata dall'Emilia-Romagna (mi sfugge la portata giuridica dei protocolli, ma è un mio limite). Vien da pensare all'orrore dei padri fondatori della nostra Autonomia di fronte ad una classe politica che, colta impreparata, guarda che cosa fa una Regione a Statuto ordinario, caducando quella specialità che dovrebbe fare di noi i primi della classe e non quelli che scopiazzano ed arrivano sempre per ultimi alle decisioni, quando In Tirolo del Sud fanno una legge (ripeto: legge) originale e "ciao" a tutti. Per dire in tedesco: «noi abbiamo l'Autonomia e la esercitiamo, non limitandoci a parlarne» ed a certi parolai de no s-atre serva come lezione. Oltretutto, quando capita di permettersi qualche critica, c'è chi a Palazzo si offende mortalmente e se la piglia con chi osa farlo, come se ci fosse chissà quale lesa maestà. Invece si tratta di lamentarsi per il bene della nostra Autonomia, che pretende il meglio, altrimenti chiudiamo baracca e burattini. E ora, che da domani si svolta a tentoni verso la strada della normalità, ci si accorge quanto questa strada sia ancora lunga, difficile e piena di incognite. L'estate "non estate" che si profila penso che pesi su tutti e la mascherina diventa, con i nostri visi occultati, una svolta antropologica da non prendere sottogamba nei nostri rapporti umani. Guardo alla Politica, mio terreno di passioni, ed a come cambierà senza la fisicità delle riunioni e dei comizi e con i seggi che diventeranno luoghi blindati in un apprensivo mordi e fuggi, per non dire delle liste che nasceranno sull'onda degli eventi con la scheda elettorale che sarà un lenzuolo. Nel mio lavoro radiotelevisivo la sanificazioni dei microfoni è l'apice di un cambiamento in un via vai nei corridoi fra mascherine e gel per le mani, che se ce lo avessero raccontato ad inizio anno ne avremmo sorriso. Invece siamo coperti e disinfettati contro il minuscolo virus che ci ha beffati e purtroppo ha ucciso e uccide, dimostrando in noi fragilità dimenticate ma ben presenti nella storia delle epidemie. Da domani la partita resta ancora dura. Superato il primo tempo fra disagi, sbagli e molti lutti, ma anche reazioni coraggiose e un buon livello di civismo, ci giochiamo tutto nel secondo tempo nel match con il "coronavirus". E' una prova di maturità e bisogna tirarsi su i pantaloni per evitare che la crisi economica ci impoverisca per anni e anni. La goffaggine di certa politica assieme alla lentezza della burocrazia per sbloccare gli aiuti necessari preoccupano e esacerbano gli animi di chi aspetta da tempo che arrivino i soldi e che ci siano risposte rapide e certe ai problemi che costellano la ripresa. Troppo spesso ci si perde in un bicchiere d'acqua. Vi lascio con qualche brano di un editoriale illuminante di Roberto Gressi sul "Corsera": «Ricominciare bisogna: i decreti "Cura Italia", "Liquidità" e "Rilancio", indispensabili e farraginosi, spesso preda delle lentezze della burocrazia, nulla potranno nel lungo periodo se non riparte la produzione. Ma far ripiombare il Paese nell'incubo dal quale cominciamo faticosamente a uscire sarebbe criminale. Troppe cose, alla vigilia, non sono come ci erano state prospettate. Abbiamo imparato a conoscere termini nuovi, a cominciare dalle tre "T": tracciamento, tamponi, test; ma non sappiamo che fine abbiano fatto. La "app", indispensabile per seguire la linea del contagio e per decidere chiusure immediate lì dove fosse necessario, non è ancora in funzione. Coniugare la sicurezza e la privacy in una democrazia è cosa complicata, ma pasticci e ritardi hanno aumentato e non diminuito i dubbi nelle persone: la "app" non funzionerà se saranno in pochi a usarla. La logica sul numero dei tamponi che si fanno continua a sfuggirci e non ci si libera dal sospetto che se ne facciano pochi per esorcizzare il problema. I test sierologici sono ormai piombati nell'anarchia totale, non c'è una programmazione per le imprese, non si sa chi deve pagarli o ogni quanto sarebbe bene farli. Le mascherine sono finite nel regno del fai da te. Sui trasporti abbiamo alzato le mani: vista l'incapacità di sfalsare gli orari e dopo qualche esperimento fallito per distanziare i passeggeri ci si affida agli autisti per impedire la ressa: andrà bene solo se, ancora una volta, saranno gli italiani a darsi regole. Governo, imprenditori e sindacati hanno stretto un buon accordo per la ripresa del lavoro in sicurezza, ma anche qui è partito un dibattito surreale sulla responsabilità penale delle imprese in caso di contagio. Abbiamo bisogno che le regole siano rispettate e che i controlli siano inflessibili, obbligando a chiudere chi non tutela la salute, ma non possiamo pensare di sconfiggere il virus in tribunale, altrimenti le prime a non riaprire mai più sarebbero proprio le scuole e le università. Il virus ci obbliga a fare le cose insieme». Anche in Valle d'Aosta c'è da ricostruire un clima di fiducia e di speranza e la sfida elettorale che verrà non aiuta di certo con quella legge elettorale bislacca che rende la competizione un terno al lotto.