Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
03 giu 2020

Il bagaglio da "coronavirus"

di Luciano Caveri

Tutto avrei pensato nella mia vita, ma non di trovarmi a fare, in questi tempi strampalati del "coronavirus", il test sierologico (prelievo di sangue a pagamento a domicilio) ed a farmi fare il tampone (come dipendente della "Rai"). In quest'ultimo caso la location del fastidioso e non doloroso prelievo dal naso e dalla gola con un lungo "cotton fioc" mi è parsa surreale: dei grossi tendoni da campo piazzati in mezzo al parcheggio di partenza della telecabina "Aosta - Pila". Uno scenario inaspettato e che ricorderò nel tempo, così come le tante cose inusuali innescate dalla pandemia. Preciso che ho fatto le analisi non perché abbia chissà quale sintomo, ma perché lavorando in un servizio pubblico è stato giusto sottoporsi.

L'elenco potrebbe essere lungo, ma annoterei: le troppe paure per un virus feroce, i bollettini del contagio come bollettini di guerra, la lunga e obbligata reclusione domestica, strade e piazze vuote come dei "De Chirico", le code con mascherina ai supermercati a guardarsi sottecchi, la socialità azzerata che fa rimpiangere un solo caffè al bar, l'uso spesso ridicolo dei diversi sistemi video per incontrarsi, la solitudine dello "smart working", talvolta dialogo fra sordi, i bambini spaesati senza scuola con genitori maestri improvvisati. Li ricorderemo questi giorni in cui abbiamo perso la nozione del tempo, affrontato la sopportazione in spazi chiusi, il rimpianto per luoghi non raggiungibili, il lutto senza funerali di persone amiche, la sensazione di impotenza verso un evento capitato fra capo e collo, che da molto distante è arrivato sulla porta chiusa della nostra casa. Ritornare alla normalità è facile da dirsi, ma appare come una strana corsa ad ostacoli, che porta molto distante dalle nostre precedenti certezze. Siamo finiti dentro una specie di centrifuga che ci ha sballottati in lungo e in largo, lasciandoci come nudi davanti ad una realtà: la nostra infinita fragilità. E' vero che questo è un dato ineluttabile, ma nel tempo ciascuno si costruisce un proprio mondo con punti di riferimento e qualche ragionevole certezza ed invece l'emergenza ci ha scombussolato. Ora guardiamo con sospetto ed apprensione a che cosa sarà e, chi più chi meno, sta riparando quel che si è rotto dentro di noi alla ricerca di nuovi equilibri. Mi raccontava l'altro giorno una psichiatra di come chi era già in cura per patologie mentali ha generalmente retto a quanto avvenuto e solo ora i rischi che "sbarelli" sono diventati forti. Ma intanto molte persone "normali" perdono la testa ed avanza quel male insinuante che è la depressione, specie in chi vede la ripartenza delle proprie attività economiche piena di ostacoli o persino impossibile. E sappiamo bene come in una Valle d'Aosta dove i suicidi sono da sempre un problema tutto questo inquieta ancor di più, perché la paura del vuoto e le incertezze della vita non aiutano ad uscire dalle situazioni difficili. Non sono un gufo e non ho alcun desiderio di speculare sulla tragicità degli eventi e ad altri spetta il compito di capire se tutto ciò che è avvenuto è solo frutto degli eventi. Ma quel che è sicuro è che da ogni avvenimento bisogna maturare degli insegnamenti. Forse il "coronavirus" si spegnerà e ci libereremo dal suo peso oppure bisognerà riprendere il combattimento o ancora in futuro altri mostriciattoli turberanno le nostre vite. Successi ed insuccessi, scelte ottimali e errori marchiani, ingenuità e furbizie faranno parte di un bagaglio acquisito.