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07 giu 2021

Il vittimismo

di Luciano Caveri

Viviamo in tempi difficili, che non consentono distrazioni o perdite di tempo. Perché la ripartenza, che per fortuna è ineluttabile ed obbliga a risolvere un cumulo di problemi già difficili da affrontare nell'ordinarietà, figurarsi nell'eccezionalità degli eventi. Per questo bisogna liberarsi di tante zavorre. Penso ai pessimisti, ai criticoni, ai catastrofisti, agli allarmisti. Tutti coloro che raffreddano fiducia e speranza. Ma aggiungerei all'elenco anche i vittimisti, che vanno presi con le pinze per quanto possono nuocere. "Vittima" è una brutta parola e ce la racconta la tesi più praticata sulla sua origine. Viene dal latino "victĭma, animale offerto in sacrificio", che a sua volta si tratterebbe di un superlativo che ha per base "vic-" di "vĭcis, scambio" col significativo di "che ricambia per eccellenza". La mentalità religiosa degli antichi concepiva il sacrificio propiziatorio come una sorta di scambio, di pareggio di doni fra l'uomo e la divinità.

Altra storia, una vera stortura è invece il "vittimismo". Si tratta dell'inclinazione a fare la vittima, cioè a considerarsi sempre oppresso, perseguitato, osteggiato e danneggiato da persone e circostanze, ed a lamentarsene (ma a volte anche a compiacersene). Il vittimismo è un espediente che fa parte degli strumenti della cattiva politica. Chi è preda del vittimismo come escamotage fa sentire gli altri sempre in colpa e così mira ad ottenere da loro ascolto, indulgenza e protezione, arrivando ad avere solidarietà a catena. Serve anche per distorcere la realtà dei fatti a proprio vantaggio. Ha scritto Raffaele Morelli sul vittimismo: «La "sindrome di Calimero" è sinonimo di "vittimismo", cioè quell'atteggiamento psichico per il quale la persona si sente vittima delle trame avverse degli altri e del destino. "Tutte a me capitano; sempre io ci vado di mezzo; lo sapevo che alla fine era colpa mia; pago sempre io per tutti": ecco le sue frasi tipiche. A volte basta una critica su un punto fragile, una discussione dai toni un po' freddi, una battuta ironica che colpisce nel segno, alcune avversità ravvicinate, o anche solo un malinteso. Subito si sente ferita, tradita, non amata, ma anche colpevole, responsabile, inadeguata, sfortunata. E se gli si dice "non fare la vittima", lo fa ancor di più». Già, ma poi esiste il vittimismo da tavolino. Ne ho visti in azione: non riescono a fare le cose, si avvolgono nelle situazioni, evitano il confronto. Allora mettono su la faccia di circostanza e si indignano, prendendo l'uscita di sicurezza e inizia il vittimismo per recuperare posizioni.