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21 apr 2022

La serenità sottovalutata

di Luciano Caveri

«Enrico stai sereno»: era il 17 gennaio 2014, quando Matteo Renzi rassicurò Enrico Letta per poi fargli le scarpe. Ormai nella vita comune e naturalmente in politica si usa in modo beffardo l'espressione, quando si dice una cosa e se ne pensa un'altra, preparando una trappola. E trovo, in questo clima pasquale che la Pasquetta si porta dietro come una sorella minore, che sia un vero peccato. Poiché mi piace scavare nelle parole trovo che "serenità" dovrebbe essere giustamente valutata. Per capirne la profondità tocca anche questa volta ricorrere al mio fedele amico "L'Etimologico", che mi serve periodicamente per apprezzare quanto sia appassionante l'etimologia e cioè lo studio dell'origine e della storia delle parole.

La partenza sta nell'aggettivo "seréno", che spunta in italiano nel XIV secolo e che deriva anzitutto dalla osservazione del cielo, quando azzurro e limpido e viene traslato nelle persone tranquille e in pace con sé stesse e con gli altri. La base trasferita in tutte le lingue neolatine, è "serēnu(m), sereno" (detto del cielo) e in senso figurato "calmo, tranquillo". Si precisa più a avanti come «Il latino serēnus viene avvicinato al greco "xērós, secco" attraverso il derivato "serescĕre, asciugarsi" e quindi all'alto tedesco "serawēn, seccare"». Questo riferimento climatico va annotato. Serenità - e i dizionari concordano - vuol dire più o meno «pace interiore, calma, pazienza: affrontare una prova con serenità, obiettività, imparzialità: giudicare con serenità». Par di capire che sia dunque una dote da valorizzare. Se si dovesse pensare ad un'immagine viene in mente la descrizione di Herman Hesse in "Siddharta": «Serenamente contemplava la corrente del fiume; mai un'acqua gli era tanto piaciuta come questa, mai aveva sentito così forti e così belli la voce e il significato dell'acqua che passa. Gli pareva che il fiume avesse qualcosa di speciale da dirgli, qualcosa ch'egli non sapeva ancora, qualcosa che aspettava proprio lui». Quindi è giusto sdoganare, senza cadere nei rischi che vedo attorno a me di misticismi di cartapesta al limite dell'esoterico e di spiritualità fasulle che rimbambiscono, valorizzare la "serenità". Lo stesso Hesse, nello stesso libro ricorda «Le parole non colgono il significato segreto, tutto appare un po' diverso quando lo si esprime, un po' falsato, un po' sciocco, sì, e anche questo è bene e mi piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d'accordo, che ciò che è tesoro e saggezza d'un uomo suoni sempre un po' sciocco alle orecchie degli altri». Se ci pensiamo un attimo questa idea di un cielo senza nuvole, che naturalmente ci mette di buonumore perché i rischi nel cattivo tempo sono scolpiti nella fragilità della nostra condizione umana, dovrebbe spingerci a coltivare i momenti belli ed appunto sereni ed a viverli con la necessaria consapevolezza e farne scorta per quando, purtroppo, sereni non possiamo esserlo per gli inevitabili problemi della vita.
Ammoniva Luigi Pirandello: «Un'ora breve di dolore c'impressiona lungamente; un giorno sereno passa e non lascia traccia».
E facciamo male.