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23 mag 2022

Io, tuttologo da tastiera

di Luciano Caveri

Giustissimo! Un esponente che oscilla fra maggioranza ed opposizione dalla sua "cabina di regia" mi apostrofa con evidente dileggio (ma in privato dice cose peggiori) come «tuttologo da tastiera». Confesso che la considero una medaglia da appuntare sul petto e ringrazio per il pensiero. Mi spiego: come ho avuto modo di dire mille volte vengo dal giornalismo e ci sono ancora saldamente. I giornalisti, per definizione e tranne casi di specialisti minuti, sono dei generalisti (spregiativamente «tuttologi») che per mestiere passano da un argomento all'altro. Quanto non mi stupisce affatto se gli argomenti che si trattano vengono approfonditi il giusto.

Ma anche chi fa politica si trova a dover trattare temi assai differenti. Come Deputato valdostano a Montecitorio (ma anche nelle Bicamerali) saltellavo da una Commissione all'altra, come mostrano i resoconti, e lo stesso vale per gli interventi in aula. Idem al Parlamento europeo ed al "Comitato delle Regioni" e la stessa cosa come presidente della Regione ed assessore in diverse materie. Certo bisogna - come avvenuto anche in altri incarichi - avere dirigenti bravi, staff efficienti, approfondimenti con olio di gomito proprio, studiando i dossier. Perché la politica è fatica, anche se nella vulgata sembriamo dei pelandroni che fanno "flanella". Quelli naturalmente ci sono e spesso si mimetizzano dietro a dichiarazioni roboanti di principio, leggendo la vita agli altri con scarsa attenzione ai risultati propri. C'è chi purtroppo pensa che la politica sia fatta da piccoli machiavellismi, congiure di Palazzo, movimentismo per esistere, voltafaccia per ricavare spazi di potere. Tutto ciò, per capirci, che rende la politica odiosa ed i politici insopportabili, nuocendo di conseguenza alla credibilità delle Istituzioni e della Democrazia. Spiace che questo avvenga a detrimento di tutti, perché diventa poi difficile fare dei distinguo, finendo nel mezzo con conseguente tritacarne dell'opinione pubblica messa in confusione. Personalmente ho sempre pensato che per essere credibili bisogna agire con convinzione e avere dei princìpi e degli ideali, perché la politica non è un "mercato delle vacche" in cui si giochi al rialzo, ma la ricerca di consenso sulle questioni importanti. Per cui è inutile avvilirsi delle critiche, specie di quelle che dovrebbero far male e invece fanno solo sorridere. Ognuno sceglie, quando entra in politica. i propri padri nobili, e non mi metto certo a questionare sui gusti personali. Per quel che mi riguarda, anche se la differenza di età non mi ha consentito di avere rapporti approfonditi (e me ne dolgo), ho come modello inarrivabile mio zio Séverin Caveri - erede del pensiero di Émile Chanoux - che si dimostrò nocchiero nel dopoguerra e nel trentennio successivo del mondo autonomista e della nostra Autonomia politica e amministrativa. Un intellettuale e assieme "uomo di azione" che aveva mille interessi culturali, scriveva con acume di materie molto diverse, oratore di grande fatta, politico che sapeva giocare le sue carte a Roma e ad Aosta, avendo sempre di fronte a sé - e nessuno può negarlo - più l'interesse della Valle d'Aosta che il proprio tornaconto o affari vari. Certo, è stato dimenticato, malgrado la forza della suo spessore politico e il suo ruolo centrale in anni difficili, ma questo fa parte del rischio di chi non aveva peli sulla lingua e possedeva il piglio del decisionista. Il resto - cioè la polemica spicciola di chi si sente "Cicero pro domo sua" (il latino va usato se lo si è studiato) - appartiene alle miserie da cui è meglio tenersi lontani per non essere contaminati. Vien da dire: «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa», come da celeberrimo verso della "Divina Commedia" di Dante Alighieri che nei secoli si è trasformato in un modo di dire molto comune, anche se più frequentemente vengono usate varianti di origine popolare che, pur avendo il medesimo significato, presentano storpiature testuali; fra le più comuni ricordiamo «non ti curar di loro, ma guarda e passa». E' Virgilio nel Canto III dell'Inferno (III, 51) che pronuncia quei versi per descrivere i cosiddetti ignavi, ovvero i vili, «coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo». Oggi l'espressione dantesca viene utilizzata per significare che non ci si deve preoccupare di pettegolezzi, calunnie o malignità altrui, una sorta di «lasciamo perdere, non si può piacere a tutti». Proprio così! In conclusione vorrei aggiungere che se tuttologo devo essere lo sono sempre de visu, perché in quello che scrivo ci metto la mia faccia e il mio nome e le stesse cose che scrivo le dico pubblicamente, anche nelle riunioni. Non sussurro ai giornalisti da dietro le quinte, minacciando di suggerire battute o azioni a chi è attore sulla scena. Ma, come si dice, ognuno ha il suo legittimo modo di essere.