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12 feb 2023

La Corte Costituzionale e la pandemia

di Luciano Caveri

La pandemia speriamo risulti davvero un ricordo. Verrebbe voglia di aggiungere “da dimenticare”, mentre in realtà la lezione è da ricordare bene e farne tesoro per le minacce di episodi analoghi che il mondo della scienza annuncia in futuro come eventi purtroppo certi. Sembra passato chissà quanto tempo dalla ruvida esperienza delle restrizioni e degli isolamenti. Forse questi eventi ci hanno fatto capire l’importanza di certe libertà personali e collettive, compresse dall’emergenza sanitaria. Resto convinto che molte cose abbiamo funzionato come un generale senso di responsabilità e di civismo, ma certi meccanismi di restrizione - senza tener conto delle situazioni locali - sono stati subiti con strumenti giuridici impropri con tempi di imposizione troppo stretti e mal comunicati. La logica di una gestione pandemica diretta in toto dallo Stato, come decisa dalla Corte Costituzionale su di una legge regionale valdostana che intendeva regolare meglio l’impatto delle misure sulla nostra Regione, non la ritengo logica ancora oggi. La flessibilità di applicazione non è lassismo, ma capacità logica di adeguarsi a situazioni particolari non generalizzabili. Il problema più grande e l’ho vissuto con insulti e minacce è stato il sorgere del variegato fenomeno NoVax, di cui resta qualche cascame e che ha assunto un carattere assai divisivo anche da noi con bagliori complottisti e settari. Aggregazioni che meriterebbero uno studio apposito per capire il cemento che ha unito persone diverse nel destino di contestatori del “sistema” e una parte di loro è pure diventata filorussa o vive in quel perimetro di discipline spiritualiste e animiste detto un tempo “alternative”. In questi giorni è, intanto, uscita una decisiva sentenza della Corte Costituzionale. La commenta Ermes Antonucci sul Foglio, che ricorda come già si sapesse che erano state ritenute “legittime le norme che hanno introdotto l’obbligo vaccinale contro il Covid19 per il personale sanitario e, soprattutto, la sospensione dal lavoro dei sanitari non in regola con le dosi”. Così spiega: “Nelle sentenze la Consulta ha evidenziato alcuni principi che vale la pena ricordare, soprattutto ai tanti No vax che ancora affollano politica, informazione e social network. Come prima cosa, la Corte ha ritenuto che la scelta assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, “non possa ritenersi irragionevole né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili”. L’articolo 32 della Costituzione, infatti, affida al legislatore il compito di bilanciare, alla luce del principio di solidarietà, il diritto dell’individuo all’autodeterminazione rispetto alla propria salute con il coesistente diritto alla salute della collettività: esistono diritti individuali, questo è vero, ma anche “doveri inderogabili, a carico di ciascuno, posti a salvaguardia e a garanzia dei diritti degli altri”. Per bilanciare queste situazioni, il legislatore ha tenuto conto dei dati forniti dalle autorità scientificosanitarie, nazionali e sovranazionali preposte in materia (Agenzia europea del farmaco, Istituto superiore di sanità, Agenzia italiana del farmaco) circa l’efficacia e la sicurezza dei vaccini, e, sulla base di questi dati scientificamente attendibili, ha operato una scelta che non appare inidonea allo scopo, né irragionevole o sproporzionata. “Relativamente al profilo della sicurezza, l’iss attesta che ad oggi miliardi di persone nel mondo sono state vaccinate contro il Covid-19. I vaccini anti SARS-COV-2 approvati sono stati attentamente testati e continuano ad essere monitorati costantemente. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno confermato la sicurezza dei vaccini anti Covid-19”, si legge nella sentenza n. 14 del 2023. I dati, proseguono i giudici costituzionali, non solo “attestano concordemente la sicurezza dei vaccini”, ma anche “la loro efficacia nella riduzione della circolazione del virus, come emerge dalla diminuzione del numero dei contagi, nonché del numero di casi ricoverati, in area medica e in terapia intensiva, e dall’entità dei decessi associati al SARS-COV-2 relativi al periodo che parte dall’inizio della campagna di vaccinazione di massa risalente a marzo-aprile 2021” “. Spiega ancora Antonucci: ”Per la Consulta, l’idoneità dell’obbligo vaccinale “vale con particolare riferimento agli esercenti le professioni sanitarie”: “E infatti, l’obbligo vaccinale per tali soggetti consente di perseguire, oltre che la tutela della salute di una delle categorie più esposte al contagio, il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l’interruzione di servizi essenziali per la collettività”. Non è un caso che misure simili siano state adottate anche in altri paesi, come Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Anche la conseguenza del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, vale a dire la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, risulta per la Consulta “non sproporzionata”: “Il sacrificio imposto agli operatori sanitari non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all’andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini”. Del resto, l’alternativa, vale a dire il ricorso a tappeto ai test antigenici ogni due o tre giorni, avrebbe comportato “costi insostenibili” e “uno sforzo difficilmente tollerabile per il sistema sanitario, già impegnato nella gestione della pandemia”. Per di più, il ministero della Salute ha attestato come la campagna vaccinale tra gli operatori sanitari abbia determinato un netto sviluppo dell’immunità rispetto al resto della popolazione. Su questo aspetto c’è un passaggio della Corte costituzionale che merita di essere posto in risalto: “Il diritto fondamentale al lavoro, garantito nei principi enunciati dagli articoli 4 e 35 della Costituzione (…), non implica necessariamente il diritto di svolgere l’attività lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela della salute pubblica e per il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” “. Mi paiono spiegazioni chiare e fanno evaporare una serie di tesi contrarie, che abbiamo sentito ripetute in questi anni.