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01 mag 2014

Pensieri sulle Alpi

di Luciano Caveri

Uno può raccontare quello che vuole sul futuro delle Alpi, ma ci sono alcune questioni capitali che vanno affrontate e risolte. Questo può avvenire con due movimenti contemporanei: uno, interno all'Italia, e che riguarda la vasta porzione dello spazio alpino affacciato a Sud; l'altro concerne l'intero arco alpino in una dimensione di macroregione alpina, strategia che riguarda gran parte di Paesi aderenti all'Unione europea, ma non solo, come dimostra in particolare la Svizzera.

Sul primo punto va detto che mai come ora un certo neocentralismo obbliga ad un'azione comune tutte le vallate alpine, che appartengano ad autonomie differenziate o a Regioni a Statuto ordinario. Si tratta di una feroce diminuzione di risorse economiche che si somma a nuovi assetti amministrativi pieni di incertezze. Sul secondo va ricordato, invece, che le Alpi sono il territorio ideale per sperimentare azioni coerenti con quella parte dei "Trattati" che, nel quadro della coesione territoriale, prevede misure specifiche per le zone di montagna. Non si tratta - lo dico sempre - di violare il principio di eguaglianza dei cittadini, ma di concretizzarlo per evitare che chi vive in montagna finisca per essere un cittadino di "serie B", al di là della fortuna che può avere, ma non riempie le tasche, di vivere in luoghi straordinari dal punto di vista paesaggistico. Giorni fa, sono stato ad Edolo per una discussione più generale sui temi della montagna con interventi i più vari. Ho condiviso in particolare il ragionamento di Enrico Borghi, oggi deputato e da sempre uno dei protagonisti del dibattito sul futuro della montagna. La sua osservazione di partenza è stata: attenzione alla demografia e cioè al rischio che vaste zone dell'area alpina si trovino prive di quelle risorse umane necessarie per garantire una vitalità della montagna. Condivido e sottoscrivo, avendo tra l'altro la cautela di non farsi impressionare da certi dati di crescita della popolazione nelle stazioni turistiche, come avviene anche in Valle d'Aosta, trattandosi per buona parte di presenze "mordi e fuggi" di lavoratori che prendono la residenza senza garantire una vera stanzialità e avendo - aspetto più grave - una mancanza di reale conoscenza del milieu culturale e fisico dove si trovano ad operare. Per cui certe performance nel numero della popolazione residente sono fuochi di paglia, che rischiano di falsare la discussione. Stimoli reali alla demografia sono la sola vera garanzia contro l'evaporazione di molti Comuni montani anche in "zone ricche" come la Valle d'Aosta. Ma questa crescita reale non può essere un elemento avulso dalla realtà. Per cui sono necessarie politiche di sviluppo, vanno garantite accessibilità e mobilità e naturalmente strutture e servizi sociali. Va cioè invertita quella tendenza di un "taglio" indiscriminato che rischia di penalizzare le zone geograficamente marginali. Facile a dirsi, sempre difficile a farsi. Ma la posta in gioco per le Alpi è capitale e mai come ora le migliori intelligenze delle Alpi devono trovare un comune denominatore.