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12 mag 2018

La commedia all'italiana

di Luciano Caveri

Osservare la politica italiana è talvolta più facile che commentarla. Mettete insieme gli spezzoni del post elezioni e ritroverete tutte le ragioni di un Paese in cui l'ingovernabilità si perpetra e sembra che ci sia un gioco di pazienza per avere leggi elettorali che rendano impossibili delle maggioranze. La Democrazia italiana è una creatura fragile ed esangue, che va avanti per inerzia anche quando a Palazzo Chigi si è in regime di prorogatio e sembra che tutto proceda egualmente, ma chi, come me, ha vissuto quelle Istituzioni romane sa che non è così e le mille emergenze irrisolte affioreranno con drammaticità. Scriveva ieri su "La Repubblica" Francesco Merlo, in vista delle consultazioni del Presidente Sergio Mattarella della settimana prossima, ultima spiaggia in vista di un Governo transitorio senza voti certi: «E' #andiamoagovernare l'hashtag di disperazione di Matteo Salvini. Come se in questi lunghi sessanta giorni non fosse accaduto nulla, il capitano leghista fa ancora finta di avere vinto. Con più logica, dall'altra parte torna il "vaffa", ma anche questo di disperazione perché è un vaffa allargato, per la prima volta, allo stesso Luigi Di Maio che, secondo la bile social dei grillini, è stato "disastroso", "un falso rivoluzionario" e "un falso statista" che "ha svenduto il Movimento al sistema"».

«Eppure tutto cominciò - continua Merlo - con il voto e l'applauso dei grillini per la berlusconiana Casellati al Senato e con il voto e l'applauso del centrodestra per il grillino Fico alla Camera. "Di lui ci si può fidare", diceva Di Maio di Salvini che a sua volta raccontava: "Ormai al telefono lo sento più di mia madre". Adesso invece Salvini mostra a Di Maio il due di picche, che non è un emoticon da social, ma il vecchio, popolare simbolo del no e del perdente che, come ha scritto su "Il Punto" Matteo Salvatti, "rilancia la metafora del gioco d'azzardo, degli assi nella manica e del bluff, delle carte appunto che sono una cosa seria anche quando fanno divertire, anzi proprio perché fanno divertire senza ridere". Ecco: Di Maio ha perso la partita ma vuole subito rifarsi, pretende la rivincita immediata e non come lo sperperatore Aleksej di Dostoevskij, ma come il pokerista che voleva sfiancare di rivincite Terence Hill in "Continuavano a chiamarlo Trinità": #votosubito è infatti l'hastag di Di Maio che rivela il giocatore compulsivo da spaghetti western». Questo attrarsi e separarsi è stato letale nell'opinione pubblica e lo si è visto dal tasso crescente dell'astensionismo, che è ormai una costante della protesta e della disaffezione. Ma soprattutto la politica italiana è una divoratrice di uomini, come spiega Merlo: «Entra dunque, anche il grillino Di Maio, nell'aristocrazia dei perdenti italiani, un altro di quelli che "non ha portato all'incasso il biglietto vincente della lotteria", e non vuol dire che ha rifiutato la fortuna, ma che nei suoi sessanta giorni non ci ha saputo fare con la politica, che ha troppo trafficato con la casta che avrebbe dovuto cacciare dal tempio, e con le verbosissime spiegazioni in politichese sia in televisione e sia nelle "cerimonie" al Quirinale, a Palazzo Madama e alla Camera dove però resterà indimenticabile l'esplorazione a sinistra di Fico e quel suo annunzio da "Bugiardo e incosciente" come canterebbe Mina su testo di Paolo Limiti: "L'esito della mia esplorazione è stato positivo". E capisco che con la guerra non bisognerebbe scherzare, ma il simpatico Fico quel giorno ricordava il ministro iracheno della Propaganda al tempo di Saddam. Al Sahaf si chiamava, ma era conosciuto come "Alì il comico" (contrapposto ad "Alì il chimico") perché si presentava alla "Cnn" magnificando come vittorie tutte le sconfitte del regime. Appartiene del resto allo stesso genere di gag il grido di Di Maio: "I partiti hanno pensato solo alle poltrone: è vergognoso!" Ebbene, come ha elencato Edoardo Buffoni di "Radio Capital", dal 4 marzo il "Movimento 5 Stelle" si è accaparrato, alla Camera, il presidente, un vicepresidente, un questore, quattro segretari e un vicepresidente della Commissione speciale. E al Senato: il vicepresidente, un questore, quattro segretari e il presidente della commissione speciale». Sarà interessante vedere come la confusione palpabile della politica italiana si riverbererà sulle elezioni valdostane, visto che le recenti Politiche hanno dimostrato quanto i confini di Pont-Saint-Martin siano permeabili agli umori dello Stivale. Concludo con la parte centrale dell'editoriale di Merlo: «Ovviamente ora i primi a capire il magnifico fallimento della vittoria sono proprio i bulletti del web grillino che infatti rumoreggiano di rabbia e, a prima vista, non condividono neppure l'idea di tornare subito alla elezioni. E forse i risultati del Friuli-Venezia Giulia questo ci fanno presagire: l'Italia, che perdona il furbo che si fa fesso per farci fessi, è di nuovo pronta a riservare un accanimento speciale all'onesto citrullo che non ce l'ha fatta. Insomma non ci sarà pietà per il vincitore bastonato, che per ora è soprattutto Di Maio anche se fu Salvini il primo ad annunciare che l'accordo era fatto: ci sarebbe stato, spiegò, un governo Di Maio con l'appoggio esterno di Berlusconi. E invece Di Maio, mentre le chiedeva "possiamo darci del tu?", apprese da Casellati i nomi dei ministri che sarebbero entrati nel suo governo: Mara Carfagna e Lucio Malan. "Berlusconi si faccia di lato e permetta il governo delle nuove generazioni", disse ancora cauto Di Maio a "Porta a Porta", ma subito Di Battista lo redarguì da Perugia: "Mai con il delinquente". E Berlusconi, che aveva cominciato lodando Di Maio ("devo riconoscere che in televisione ci sa fare"), prima bofonchiò "non fatemi parlare" e infine lo destinò a "pulire i cessi" di "Mediaset". Dunque oggi la dissipazione dei nostri eroi, suonati dalla vittoria, compie due mesi ed è un compleanno di cattivi umori e senza festa che, secondo il presidente Mattarella, lascia tutti al punto di partenza. In realtà questi sessanta giorni di rivoluzione e di cambio d'epoca hanno riportato in vita tutti i fantasmi dell'ingovernabilità italiana, gli sgambetti e i ribaltini aritmetico-politici, le congiure di palazzo, i due forni democristiani e il doppio gioco socialista, le liti di Craxi e De Mita, la gobba di Andreotti e i baffi di D'Alema». Assisto a tutto ciò dalla cima di una qual certa esperienza, ma la verità è che si perde del tutto la capacità di stupirsi, come una litania dolorosa che non consente mai una pausa. Ad una strofa se ne aggiunge un'altra e lo sconcerto aumenta e ci si chiede dove i cittadini sfogheranno il loro malessere, talvolta inconsapevoli che - può piacere o no - la Politica resta lo specchio dell'Italia e non un bubbone esterno alla società.