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24 set 2019

L'elezione diretta del presidente in Valle d'Aosta?

di Luciano Caveri

Sono in una fase "zen" ed a questa mi attengo. Per cui seguo con insolito divertissement il "diktat" posto da "Rete Civica" ed in particolare dal loro leader Elio Riccarand (che gode sempre della mia stima intellettuale), che tiene su in maniera rocambolesca la Giunta Fosson, legando i due voti indispensabili dei suoi eletti per la tenuta della maggioranza ad un elenco puntuale di cose da fare e con la curatela di alcuni "tutor" sull'azione di ogni assessore (uno a testa!). Oltreché sotto l'alta vigilanza dell'eclettico polemista Alberto Bertin e della "new entry" Chiara Minelli un tempo «mangiaunionisti». Il punto cardine è l'elezione diretta del presidente della Regione, che per me resta - come definizione politico-poetica - il "Presidente della Valle".

In altra sede ho fatto e farò, se il caso, un'analisi giuridica di una materia che è stata la mia nell'azione parlamentare, visto che ho scritto ed ho vigilato sulle norme che hanno portato dapprima all'ottenimento nel 1989 di una modifica statutaria che diede alla Valle - finalmente! - la competenza sull'elezione del proprio Consiglio regionale e poi, nel 2001, al passaggio cospicuo di materie sulla legge elettorale, sulla forma di Governo e vari annessi e connessi. Annoto che mai pensai di prevedere in quelle modifiche l'elezione diretta, avendo ben presente come già la figura del "Presidente della Valle" avesse caratteristiche molto (troppo?) forti e le funzioni prefettizie in qualche modo ne rafforzano, per me positivamente, il ruolo. La stessa elezione diretta del presidente nelle Regioni italiane, diffusasi dappertutto, ha di fatto svuotato il regime parlamentare e l'esaltata stabilità è valsa nella logica dell'"uomo-solo-al-comando", che trovo contraddittoria da parte di chi - secondo le proprie idee - esalta democrazia diretta, valori federalisti, ruolo delle Assemblee. Per stabilizzare, con legge elettorale, il sistema valdostano basterebbe un accorgimento semplice: costringere le famose "alleanze preventive", che danno un "premio di maggioranza" (abbassando il quorum folle del 42 per cento), ad essere rispettate anche dopo il voto da chi le stipula, pena lo scioglimento dell'Assemblea. Non capisco davvero, dopo anni di polemiche sul "rollandinismo" e la lotta alle preferenze personali per primeggiare per poi al potere costruire un sistema vero e proprio, questa idea di marcare la figura con il voto popolare diretto (pur con ovvie cautele e vorrei ancora vedere!), spogliando il Consiglio di un proprio ruolo. Anni fa, Ferdinando Camon, celebre scrittore che annota i suoi pensieri - fra gli altri - anche sui giornali del Gruppo "L'Espresso" scrisse: «C'è nostalgia e voglia e attesa di un uomo forte, che faccia subito quel che il governo rimanda continuamente. (…) Triste constatazione, ma bisogna essere sempre realisti nel guardare alle tendenze dell'opinione pubblica, per altro supportate da dati pubblicati da "La Repubblica" e così sintetizzati da Ilvo Diamanti: "Come mostrano i sondaggi condotti da "Demos". Dai quali emerge come, fra i cittadini, questa idea risulti non solo maggioritaria, ma in costante crescita. E oggi dominante. L'affermazione: "C'è troppa confusione, ci vorrebbe un Uomo Forte a guidare il Paese", infatti, nel 2004 era vicina - ma ancora sotto - alla maggioranza degli elettori. Nel 2006, però, era condivisa dal 55 per cento degli elettori e nel 2010 quasi dal sessanta per cento. Ma oggi (meglio, pochi mesi fa, nel novembre 2016) l'attrazione verso l'Uomo Forte sfiora l'ottanta per cento. Pare divenuta, dunque, un'idea dominante"». Immagino che oggi il dato in Italia sia ancora cresciuto. Ma questo rafforzamento del Capo, mai più "primus inter pares" com'era previsto nel sistema valdostano, è la soluzione contro i rischi di abbandono della democrazia nella testa delle persone? E Camon così osserva: «La gente pensa (non a torto) che il groviglio di problemi che impastoia la nostra politica sia come il "nodo di Gordio": c'è un nodo da sciogliere, non si troverà mai il capo o la coda del nodo per scioglierlo, l'unica soluzione è tagliarlo con un colpo di spada. Ci vuole l'uomo forte, che abbia la spada e sappia usarla». Ma lo stesso scrittore padovano conclude in modo arguto e indica il problema: «Ma l'uomo forte non vince le guerre, le perde. Lo sappiamo per esperienza. A chi chiede un uomo forte, la risposta migliore è: "Un altro?". La voglia di un uomo forte è una delega ad altri di un potere nostro: non sapendo cosa fare, vorremmo passare la decisione ad altri. E' una democrazia insicura. Non di un uomo forte abbiamo bisogno, ma di un popolo maturo». Io spero che i valdostani siano maturi e che non si ceda ad un sistema di voto siffatto, frutto, per dirsi la verità, di una contingenza - stare in piedi! - più che di uno spirito riformatore condiviso. Preoccupa non solo il contenuto ma anche il contesto di un Consiglio Valle a tratti moribondo e tremebondo (lo dico con tutto il rispetto per le persone e per l'Istituzione), che assume in tutta fretta una decisione capitale con una Commissione che sarà costretta a correre per evitare che Riccarand stacchi la spina e lo spauracchio delle elezioni è peggio di qualunque "babau".