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20 feb 2020

A proposito di "overtourism"

di Luciano Caveri

Della volte mi domando, di fronte a certe punte d'affollamento nelle località sciistiche valdostane, se anche noi in Valle si soffra di qualche fenomeno di "overtourism", che è un neologismo che indica il sovraffollamento di turisti in una meta vacanziera. Parola apparsa per la prima volta nel dizionario "Oxford" nel 2018 significa letteralmente "troppo turismo", un fenomeno complesso che va analizzato da vari punti di vista. Il caso più eclatante è l'allarme lanciato su di una città fragile come Venezia, ma anche a Barcellona o ad Amsterdam stanno ragionando su contromisure contro gli eccessi non solo a tutela dei luoghi, dei monumenti, ma anche della tranquillità di chi ci vive. Questo vale anche per mete naturalistiche di un certo pregio che rischiano la compromissione se la logica di conservazione non viene più assicurata per via di certi eccessi.

Qualche mese fa su "Econopoly" del "Sole 24 ore" avevo letto un pezzo controcorrente - nel senso che non segue il rischio di un certo conformismo sul tema - di Luca Martucci, consulente ed esperto di marketing di destinazione. Anzitutto l'autore spiega come nacque la parole che designa il fenomeno: «Probabilmente il founder del travel magazine "Skift" non immaginava l'inferno mediatico che avrebbe scatenato, quando nel 2016 usò questo termine in una mail ai suoi collaboratori per parlare poi dell'Islanda! L'accusa, intrisa di molta ideologia, punta il dito verso un non meglio identificato turismo di massa, piattaforme online come "Airbnb" o "Uber", vettori low cost o crociere. "Instagram" ed altri social media completano il banco degli accusati, ma quanto questi sono davvero colpevoli». Martucci cita uno studio sul tema realizzato dal "Dutch center of expertise leisure", "Tourism and hospitality" ed altri partner, tra i quali l'"European tourism association", attraverso interviste con ottanta stakeholder in tredici città europee. L'incipit è interessante: «Considerare l'overtourism solo come un problema turistico, piuttosto che sociale e urbano, è fuorviante e può creare malintesi, che distolgono attenzione e comprensione del fenomeno, alimentando alcuni miti che sono da sfatare» e consente all'esperto - attraverso lo studio citato - di meglio dettagliare: «più che di "overtourism", si dovrebbe parlare di "visitorpressure" od "overcrowding", in italiano il sovraffollamento tipico dei mesi primaverili, mentre nel picco estivo le città si svuotano dei residenti. L'estensione della stagione turistica, la diluizione delle vacanze in periodi più corti e ripetuti durante l'anno fanno invece percepire agli abitanti di alcune città il fenomeno in maniera continuativa. I turisti internazionali sono visti come i maggiori contributori dell'overtourism. In realtà un grande e crescente numero di persone, residenti ed anche pendolari, usano e stressano lo spazio fisico delle città sempre più limitato. Dallo studio emerge quello è facilmente intuibile: gli escursionisti (day visitor) in gran parte provenienti da località limitrofe, rappresentano il cinquanta per cento di quanti visitano per piacere una destinazione! Gli impatti dell'overtourism non riguardano l'intera città e sono frutto anche dei mutati scenari dei settori immobiliare e retail. (…) La turistificazione fisica di alcune città è però anche conseguenza del mutamento dello scenario immobiliare, caratterizzato dall'aumento dei prezzi d'affitto a seguito della crisi del 2008, e di quello relativo alle vendite al dettaglio, sempre più modellate sugli gli abiti di consumo di cibo e bevande o attività di shopping. Modalità più flessibili di lavoro hanno permesso una maggiore usufruibilità dei centri urbani, così come la forte crescita dello shopping online ha comportato l'aumento della circolazione dei veicoli per la consegna e quindi del congestionamento delle strade». Morale? In una frase c'è tutto: «L'overtourism non è solo un problema legato al turismo. Troppo semplicistico far diventare il turismo il capro espiatorio». Sul caso italiano scrive Martucci: «La crescita di arrivi e pernottamenti di turisti degli ultimi anni non è stata sconvolgente, ma quasi fisiologica. Niente che possa essere attribuito ad orde di gruppi in aumento o che abbia trovato poi riscontro in iperbolici aumenti di fatturato di hotel od altri esercizi commerciali, fatta eccezione forse per gli outlet. (…) Non esageriamo. A parte Venezia, ed alcune zone di altre poche città, gli impatti si vedono solo in aree con forti limitazioni geomorfologiche come le Cinque Terre o la Costa Amalfitana, od in qualche borgo famoso durante l'ennesima sagra del fine settimana. Più che i numeri suscitano clamore certi comportamenti dei visitatori. Sempre di più vediamo foto e video di ubriachi che orinano per strada o si tuffano nelle fontane, ma i turisti cafoni, così come i residenti maleducati, ci sono sempre stati, così come gli idioti che scrivono le proprie iniziali sui monumenti o quelli che rubano reperti archeologici. Smartphone e social media, formidabili propulsori del turismo, hanno amplificato certe trasgressioni, alimentando l'egocentrismo del selfie e del messaggio del tipo "ci sono stato, e magari ho fatto pure questa bravata". Molti luoghi della cosiddetta "movida", palco di eccessi e maleducazione, sono nati da iniziative dei residenti, o magari in alcune città universitarie anche degli studenti fuori sede, prima di diventare attrazione per i turisti stranieri o di località limitrofe. "Airbnb" va regolata, soprattutto dal punto di vista fiscale, ma non demonizzata. L' affitto di appartamenti o ville per turisti esiste da molto tempo. "Airbnb" e piattaforme similari hanno solo fornito la tecnologia che ha accelerato le dinamiche di offerta e domanda». Credo dunque che - uscendo dalla logica urbana - anche per la zona alpina, senza drammatizzare, si possano trovare misure interessanti per certi eccessi sui fine settimana e nelle feste comandate invernali ed estive (Natale e Ferragosto spiccano!), che creano cattive sensazioni a turisti e residenti. Senza eccedere in piagnistei e ricordando come le Alpi abbiano vasti territori mai intasati dal grande pubblico per chi voglia evitare folle e ingorghi.