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26 mar 2020

Lo Stato d'eccezione e la Costituzione

di Luciano Caveri

E' molto difficile esprimere i propri dubbi sulla gestione dell'emergenza sanitaria del Governo Conte con particolare riferimento a lui, Giuseppe Conte, abituatosi a fare da condottiero in questa crisi, senza averne le qualità. Divento così antipatico a chi considera che tutto funzioni. Penso, però, di essere legittimato a farlo, perché se è vero che mai come ora ci debba essere coesione, va mantenuto ben vivo il diritto di critica. Un atteggiamento che non può essere considerato come "remare contro". Ho visto malissimo, ad esempio, le apparizioni serali-notturne del presidente del Consiglio con decisioni contraddittorie, semplici "effetto annuncio" ed una certa supponenza del soggetto che non ama le domande dei giornalisti, come si è visto nell'ultimo monologo via "Facebook". Roba mai vista, degna dello stile grillino da cui Conte è stato partorito, anche se ora è la mascotte di molti esponenti del Partito Democratico, che lo amano dopo averlo odiato, quando era con la Lega al vertice del Governo.

Scrive Alessandro De Angelis su "Huffpost" e lo abbraccerei: «Non è un problema di comunicazione, c'è una rottura istituzionale sullo stato di eccezione per cui sta diventando tutto lecito: l'annuncio, senza una conferenza stampa con qualche domanda, senza un coinvolgimento di tutte le forze politiche (le opposizioni avevano chiesto proprio queste misure due settimane fa), senza mettere in conto un passaggio parlamentare in una seduta straordinaria, come invece sta facendo Emmanuel Macron in Francia. La sensazione è che si sta producendo in Italia, almeno come tendenza del momento, un "esperimento" politico e sociale non irrilevante: la democrazia come regime di un Capo, chiamato a gestire l'emergenza, in un clima in chi critica il governo è un sabotatore della patria di fronte al numero crescente dei morti, mentre è legittima la propaganda da Grande Fratello». Così rincara la dose: «E' un crinale molto delicato, su cui nutrire preoccupazioni se non ci fosse la figura del Presidente della Repubblica, e se questa figura non fosse Sergio Mattarella, che ha dato più volte prova di equilibrio, prudenza, determinazione. E che sicuramente sarà garante della necessaria determinazione nelle scelte, ma anche della tutela dell'equilibrio istituzionale, coniugando democrazia ed emergenza. Di strappi ne sono stati fatti abbastanza e solo a bocce ferme, vale a dire a emergenza superata, sarà possibile una valutazione sulla adeguatezza delle misure prese, a partire dal ricorso, per la limitazione delle libertà fondamentali, al decreto della Presidenza del Consiglio, sottratto ad ogni controllo preventivo da parte dal Capo dello Stato e del Parlamento. E senza neanche una condivisione politica anche con le opposizioni». Annotiamo un Parlamento italiano chiuso, le forzature costituzionali, certi evidenti dilettantismi, gravi ritardi nelle scelte che oggi pesano moltissimo. Il PD dovrebbe essere il garante ma tace rispetto ad eccessi personalistici di Conte con un narcisismo fuori luogo. Intanto c'è stata la continua rincorsa dell'emergenza da parte della Regioni, che da Roma - mentre loro chiedevano maggior severità nelle chiusure - hanno avuto solo ritardi nelle decisioni con provvedimenti scritti con i piedi e va aggiunta la paradossale mancanza di materiale essenziale per contrastare l'epidemia. L'apice è stata questa storia dell'ordinanza di ieri che così recitava e che sarebbe servita - udite udite - in attesa della pubblicazione del Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) che avverrà oggi: "«E' vietato a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in un comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute». Lo stabilisce l'ordinanza adottata dai ministeri della Salute e dell'Interno per contenere l'epidemia di coronavirus". Un'ordinanza? Io non so sei siamo diventati matti su una materia così delicata in materia di libertà personale valida in tutta Italia, sapendo che già il DPCM è stato usato da Conte al di là di quanto consentito da questa strumento. Non sono disfattista, né polemista e neppure poco patriottico. Sono arrabbiato perché certe forzature istituzionali vanno prese con le pinze e aggiungo che certe cose, come l'autocertificazione da "coronavirus" per circolare, sono strumenti così dilettanteschi da apparire incostituzionali anche agli occhi di uno studente del primo anno di Giurisprudenza. Il mio amico Mariano Allocco, montanaro occitano, affonda la lama sul sito di "Electroradio", diretto dall'altro mio amico, Augusto Grandi. Eccolo per intero: «Un Occidente fragile e presuntuoso si trova all'improvviso di fronte ad un redde rationem e ora il quesito è: fino a quando e fino a dove si spingerà lo "Stato di eccezione"?
Nel 1922 Carl Schmitt definì il Sovrano "colui che decide in stato di eccezione", un termine che indica provvedimenti eccezionali presi in periodi di crisi e che vanno compresi alla luce dell'antica massima secondo cui "necessitas legem non habet". I nostri Padri Costituenti questa ipotesi non l'hanno presa in considerazione, il presidente del Consiglio non era pensabile potesse assurgere a Sovrano e neppure per il resto dell'Occidente questa era una ipotesi plausibile. Per inciso, fu lo "Stato di eccezione" nel secolo scorso ad accompagnare le derive che portarono ai totalitarismi. Non si tratta di un diritto speciale, è la sospensione più o meno modulata del diritto e ora si presenta come tecnica di governo attuata con l'estensione man mano crescente dei poteri dell'esecutivo attraverso l'emanazione di decreti e provvedimenti presi, appunto, in "Stato d'eccezione". L'esercizio di questa prerogativa erode necessariamente la democrazia, anch'essa ora interrogata da un Virus. L'attività legislativa del Parlamento di fatto è sospesa, mentre nel Paese il potere decisionale dei consigli comunali è ormai un simulacro. Lo "Stato di eccezione" si è imposto partendo da un principio secondo cui la necessità caratterizza una situazione singolare in cui la legge perde la sua potenza e man mano la necessità sta costituendo il fondamento e la sorgente della legge. Il diritto non ammette lacune e se il giudice deve emettere un giudizio anche in presenza di vuoti legislativi, per estensione quando emerge una lacuna nel diritto pubblico il potere esecutivo ha l'obbligo di porre rimedio: è lo "Stato di eccezione" che si è improvvisamente affermato. Leggi non scritte, quelle della necessità, stanno prevalendo sul diritto che reagisce di conseguenza, ma è in posizione di difesa denunciando la fragilità che caratterizza l'Occidente anche su questi fronti. Nello "Stato di eccezione" la decisione sospende o sorpassa norme, ritualità, tempi e procedure che in democrazia sono sostanza. "Ciò che l'arca del potere contiene al suo centro è lo Stato di eccezione" (Giorgio Agamben, 2003), ed è una macchina che ha funzionato attraverso fascismo, nazionalsocialismo e regimi comunisti giungendo fino a noi in modo ovattato, ma efficace e che ora si riafferma in tutto l'Occidente a causa di un virus. "In tempo di crisi il governo costituzionale deve essere alterato in qualsiasi misura sia necessaria per neutralizzare il pericolo e restaurare la situazione normale... il governo avrà più potere e i cittadini meno diritti... la democrazia è figlia della pace e non può vivere senza la madre" (Clinton Rossiter, NJ, 1948), parole scritte nell'immediato dopoguerra, ma sempre attuali ora che lo stato belligerante non è detto sia cruento. Brevi riflessioni su una questione che, partendo proprio dall'Italia, si è prepotentemente riaffacciata in un Occidente caratterizzato da una fragilità che è già stata evidente dopo l'11 settembre 2001, ma che ora è scappata di mano a tutti. Un'altra questione è evidente: il concetto di "confine" che era sotto attacco in questo inizio di millennio ora è tornano con tutta la sua antica potenza a segnare di diversi colori le cartine geografiche, cominciando da quella di una Europa che deve ritrovare la sua anima. L'obbligo di rimanere in casa, tra quattro mura, ha riportato in auge anche il significato di "muro" come strumento di difesa. Scenario complesso che propone una sfida da ricondurre nell'unico ambito possibile, quello della Politica, intesa come arte di rendere possibili le cose necessarie. La Politica però è inerme in uno Stato d'Eccezione». Aggiungo solo che molti miei colleghi ex parlamentari, riuniti in apposita associazione che vuole servire come stimolo al dibattito politico, la pensano come lui e come me. Combattere il "coronavirus" con strumenti eccezionali è giusto e sono pronto a digerire decisioni draconiane se utile, ma devono essere sempre salvaguardate forma e sostanza previste dalla Costituzione.