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10 ago 2020

Il distanziamento che non c'è più

di Luciano Caveri

L'estate è una stagione festante per sua natura e come tale va vissuta nei limiti del possibile. Specie in questo 2020 in cui siamo reduci da quei mesi che ci hanno visti costretti a misure di confinamento e ad una vita vissuta del tutto diversa dalla normalità. Credo che tutti noi ne abbiamo sofferto ed abbiamo ancora delle cicatrici da far rimarginare, pur con differenti livelli di gravità, a seconda delle esperienze avute. L'estate è il momento in cui le occasioni per stare insieme agli altri si moltiplicano. Ed in questo periodo particolare diventa oggettivamente più difficile rispettare le regole necessarie ma certamente invasive per evitare i contagi da "covid-19". Molte di queste ruotano attorno a quell'espressione sintetica ma infelice che è il "distanziamento sociale". Anche le parole pesano ed il significato letterale di questa espressione è infelice, pensando come proprio di fronte ad una grave emergenza sanitaria sia decisivo mantenere vivo e operativo il concetto di essere comunità.

E non caso proprio l'Organizzazione mondiale della sanità sostiene che vada adoperato il concetto di "distanziamento fisico". Di "sociale" c'è dunque lo sforzo collettivo da una parte di rispettare le regole fissate, a seconda delle circostanza della diffusione della malattia e, dall'altra, cementare quel legame solidaristico che per fortuna abbiamo visto in azione nelle settimane più difficili della pandemia. Detto questo, conta però - con tutta la comprensione possibile ed anche con l'esperienza soggettiva di un rilassamento nei gesti barriera - il fatto che si moltiplicano i casi di scetticismo, spesso persino aggressivo, sull'esistenza stessa del virus e delle sue conseguenze assieme ad una sorta di moto di rimozione, anche nelle persone più ragionevoli. Al di là degli aspetti informativi, forse mal gestiti all'inizio, perché non dosati con misura e meno legati come si sarebbe potuto fare ad una persuasione morale che a minacce repressive, oggi mi chiedo quanto sia logico l'esatto opposto e cioè l'emergere di una sorta di corale (dunque me compreso) rassegnazione ad un "rompete le righe" liberatorio e come tale in larga parte irrazionale che contraddice ormai anche elementari precauzioni. In queste ore sono in Sicilia, in quel Sud che è stato sinora risparmiato da quelle punte drammatiche che hanno colpito in Nord. Ebbene, va detto con onestà che il virus appare come scomparso nei comportamenti sociali (e uso "sociale" appositamente), nel senso che il distanziamento è quasi sempre da barzelletta. Certo, esiste la cartellonistica di legge, ci sono i gel dove previsto, si ascoltano gli appelli nei supermercati, le mascherine spuntano laddove c'è qualcuno che ne sollecita l'uso, ma nella quotidianità si tratta ormai di folklore e non di prevenzione. Che sia il mercato del pesce di Catania o le barche stipate per il giro delle Eolie. Detto del problema, non so francamente che cosa si possa fare se le misure di profilassi risultano ormai svilite e inutilizzate. Resta solo da sperare che agli allarmi per le settimane prossime risultino infondati, ma quel che sta capitando nel mondo sembra indicare che non sarà così.