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25 apr 2021

Draghi: tecnico o politico?

di Luciano Caveri

Mario Draghi, nel momento in cui ha deciso di accettare il ruolo di presidente del Consiglio dei Ministri, ha cessato di essere un tecnico ed è diventato un politico. In verità già il suo ruolo di presidente alla "Banca centrale europea" era stato connotato da un misto - come diceva Blaise Pascal - fra "esprit de finesse" ed "esprit de géométrie" nell'esercizio di un lavoro che lo ha sempre posto al centro di decisioni cruciali sull'economia. Ora, però, è sceso senza "se" e senza "ma" nell'agone politico e di conseguenza ha cambiato pelle, lasciando quella del "tecnocrate" ed ha dovuto persino rinunciare all'iniziale riservatezza verso l'opinione pubblica ed incominciare a comunicare, com'è giusto che sia in una democrazia. Dalle sue risposte franche e dirette, così come da alcune decisioni recenti come l'allentamento delle norme restrittive sulla pandemia, mostra di essere pian piano a suo agio nel nuovo ruolo. Le decisioni certo influiscono nel suo tasso di popolarità, perché quando si sceglie automaticamente ci sono degli insoddisfatti e questo pesa sui sondaggi.

Ricordo, perché noto una crescente smemoratezza sul punto profittando di una ormai diffusa ignoranza su meccanismi istituzionali che dovrebbero essere ben noti. Perché affidarsi a personalità esterne è reso possibile dal meccanismo dell'articolo 92 della Costituzione, che scelse nel definire la forma di Governo un presidente del Consiglio non eletto dal popolo e dopo vent'anni di dittatura fascista si trattò di una decisione prudenziale per la facile deriva degli italiani per "l'uomo forte" plebiscitato con leggerezza. Poi, in realtà, nella vita democratica della Repubblica la scelta fu sempre e comunque politica, cioè con con un parlamentare alla guida del Governo. Questa prassi si spezzò nel 1993, dopo gli scandali di "Tangentopoli", quando arrivò per un anno un tecnico. Carlo Azeglio Ciampi (già governatore della "Banca d'Italia") fu così il primo presidente del Consiglio a non essere un parlamentare. Ciampi non si candiderà mai alle successive elezioni politiche, ma nel 1999 diventerà Presidente della Repubblica. Nel 1995, sempre per un anno, spunta Lamberto Dini che, come Ciampi e Draghi, veniva dalla "Banca d'Italia", di cui era stato direttore generale, proprio quando Ciampi ne era governatore. Il governo Dini è il primo governo formato esclusivamente da tecnici, cioè senza alcun parlamentare fra i suoi ministri. Dopo esser stato capo del governo, Dini diventerà parlamentare fondando tra l'altro un suo partito, "Rinnovamento Italiano", sciolto nel 2002. Nel 2011 il governo Berlusconi viene travolto dalla crisi economica, con lo spread a livelli spaventosi: per risolvere i problemi, il Presidente della Repubblica chiama un tecnico. E' l'economista Mario Monti, che negli stessi giorni viene anche nominato senatore a vita dal presidente Giorgio Napolitano per radicarne un ruolo politico, anche se il suo Governo avrà solo ministri tecnici. Anche lui, che governa dal 2011 al 2013, fonda un proprio partito, senza successo. Vi é stato infine poco tempo fa (e la memoria è fresca) l'esperienza politica di Giuseppe Conte, che non può essere considerato del tutto un tecnico, perché era già presente come militante nel sottobosco dei "pentastellati" e non a caso ora è diventato, benché già traballante, il nuovo leader dei "Cinque Stelle". Naturalmente ha smentito quando disse che sarebbe tornato a fare il professore e l'avvocato (non più «del popolo»... ), dopo l'esperienza in politica. Del tutto politici, ma non parlamentari quando andarono a Palazzo Chigi, sono stati anche Matteo Renzi nel 2014 e prima di lui Giuliano Amato con il suo Governo nato nel 2000. Questo per dire come, anche con Draghi, è legittimo chiedersi quale ruolo avrà in futuro e se scenderà anche lui in campo in modo strutturato. Ma certo bisogna piantarla con questo refrain del «presidente non eletto» come scandalo cui reagire con veemenza e su questo credo sia bene soffermarsi. «Avviso agli studenti di Diritto costituzionale. Chi tra di voi avesse pubblicato sulla propria bacheca la frase "un altro presidente del Consiglio non eletto dal popolo" - o altre aberrazioni equivalenti - è pregato di chiudere per sempre l'account "Facebook", onde evitare di cagionare danni a cose o persone, di abbandonare per sempre la Facoltà di giurisprudenza e iscriversi a Scienze delle piadine al prosciutto presso l'Università della Vita. Andiamo male, ragazzi. Molto, molto male». Così scrisse tempo fa sulla sua pagina "Facebook" Guido Saraceni, professore associato in Filosofia del diritto all'Università di Teramo, noto per il suo spirito vivace. E aggiunse in un'intervista: «Certe frasi ("il presidente del Consiglio non è stato eletto") hanno senso solo dal punto di vista politico. Se si tratta di una critica politica allora se ne può discutere. Dal punto di vista della legittimità costituzionale, invece, ci sono pochi dubbi».
Come ho già detto, la nostra è una Repubblica parlamentare, non presidenziale e il presidente del Consiglio lo sceglie il Presidente della Repubblica con l'unico requisito che possa ottenere la fiducia dalle Camere per formare un Governo. Se poi si ritiene che questa formula sia ormai sorpassata esiste la strada della riforma costituzionale, ma vorrei davvero capire se ci sia traccia di quello spirito costituente senza il quale si rischiano solo pasticci.