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29 mag 2021

Riflessioni sulla pandemia

di Luciano Caveri

Ci sarà un giorno in cui, non a caldo come avverrebbe ora, rifletteremo sulla pandemia ed i suoi effetti. A me interessa, per ovvia deformazione professionale, l'impatto sulla politica e le sue decisioni. Certo qualcosa è già evidente, come il centralismo nelle decisioni più importanti e scienziati che fanno più politica dei politici. Poi aggiungerei i ritardi nelle decisioni e spesso le scelte astruse e illogiche. Ed anche azioni concrete così diverse tra Paesi europei da chiedersi che cosa ci stia a fare l'Unione europea almeno in campo sanitario, che prevederebbe azioni comuni di contenimento. Ma un articolo pubblicato nella lettera del "Grand Continent" illumina già altri spazi. Un testo lungo e difficile, da cui traggo arbitrariamente qualche spunto utile per la discussione. Questo l'inizio: «Chiudere tutto, aprire, ri-chiudere, riaprire: questi due anni di pandemia sono stati all'insegna delle scommesse. Chi nell'aprile 2020 riteneva avventato puntare tutto sull'arrivo della primavera è stato contraddetto da un'estate tranquilla; ma chi ad agosto insisteva per considerare "morto" il virus ha dovuto fare i conti con l'arrivo di un autunno terribile. Nessuno poteva dirsi sicuro delle proprie previsioni, anche se molti lo hanno fatto. Certo ci sono i comitati tecnici e le curve epidemiologiche che descrivono alla perfezione il passato e con qualche difficoltà il futuro, ma alla fine le decisioni spettano sempre alla politica».

Nel caso italiano è stato un misto: scienziati protervi che incidevano su politici spesso impreparati, che alla fine diventavano suggestionabili e pasticcioni. Ancora l'articolo sul quadro attuale: «Questa settimana tocca alla Francia riaprire bar, ristoranti e cinema, sperando che la curva scenda com'era scesa l'anno scorso nello stesso periodo e come è già vistosamente scesa in Italia nell'ultimo mese. L'esperienza sembra giustificare un certo ottimismo, ma sappiamo da John Stuart Mill che una regola generale come "tutti i cigni sono bianchi" può essere contraddetta in qualsiasi momento dalla scoperta di un cigno nero». Già, l'indeterminatezza è dietro l'angolo e si torna al punto: «Chiudere tutto, aprire, ri-chiudere, riaprire: ovviamente ognuna di queste scommesse è stata oggetto di un dibattito acceso nell'opinione pubblica. Le parti hanno difeso i loro argomenti tecnici - che fossero epidemiologici o economici, psicologici o giuridici - senza che nessuno abbia potuto risolvere definitivamente e in maniera neutrale la questione. L'incertezza che contraddistingue la nostra epoca è inedita, perché non è il prodotto di un difetto di conoscenza ma di un eccesso che non riusciamo a padroneggiare. In effetti è scorretto ripetere che il "covid-19" sia stato un cigno nero, un imprevisto, perché bastava aprire un qualsiasi libro sui temi della salute globale pubblicato nell'ultimo decennio per leggere che presto o tardi sarebbe giunta una pandemia dalla Cina, precisamente da quel serbatoio virale costituito dagli animali selvaggi (pipistrelli, pangolini...).  Tuttavia questa conoscenza astratta, iscritta nelle pagine dei libri e dei rapporti, non era sufficiente per ispirare una condotta specifica. Insomma se il "covid-19" ci ha presi in contropiede è perché si trattava di un cigno... grigio. Uno di quei numerosi scenari catastrofici che la scienza ha effettivamente previsto in un ventaglio più largo di previsioni - dal terrorismo al cambiamento climatico, passando dalla crisi della crescita dei Paesi ricchi - senza che i politici sappiano precisamente come filtrarle e organizzarle. Segnali annegati nel rumore, monete inflazionate come la voce del bambino che gridava sempre "al lupo" finché nessuno gli credette più. Insomma non è l'imprevisto che ci paralizza, ma il troppo-previsto. Interessante e inquietante nello stesso tempo e svela una politica che troppo spesso è paralizzata dal giorno per giorno e dall'ossessione del consenso elettorale». Più avanti bisogna concentrarsi nella lettura: «Chiudere tutto, aprire, ri-chiudere, riaprire: sono questioni politiche che pongono gli stessi dilemmi delle grandi questioni metafisiche di Pascal. "La ragione qui non può determinare nulla: c'è di mezzo un caos infinito". Il grande filosofo seicentesco propone quindi un "gioco", una partita a testa o croce nella quale non esistono ragioni sufficienti per scegliere un'opzione oppure l'altra. Siamo comunque costretti a giocare. Proprio come in politica, "scommettere bisogna: non è una cosa che dipenda dal vostro volere, siete imbarcati". Ma come prendere una decisione se nulla è certo? Pascal propone un metodo molto pragmatico: "Pesiamo il guadagno e la perdita". Insomma il filosofo ci invita a ragionare in termini di costi e benefici, il solo modo scientifico di scommettere. Il calcolo delle probabilità, nato proprio con Pascal, permette in effetti di riassorbire entro la sfera della razionalità tecnica tutto ciò che le sfugge. Questo approccio sta al cuore della governabilità moderna: se il calcolo delle probabilità permette di sviluppare gli strumenti matematici, finanziari, assicurativi necessari alla nascita del capitalismo, serve anche a gestire il potere su larga scala, quella delle popolazioni, come ha mostrato Michel Foucault facendo precisamente l'esempio delle politiche di vaccinazione. Applicata alle scommesse della vita sociale, sanitaria ed economica, la gestione del rischio sotto il profilo dei costi e benefici si pone come alternativa alla politica decisionista e dovrebbe servire a contrastare ogni tentazione populista. Tuttavia la secolare aspirazione alla depoliticizzazione viene continuamente contrastata dai sussulti e dai riflussi della politica, come già negli anni Venti e Trenta del Novecento. Nel caso della pandemia, gli specialisti del rischio hanno denunciato l'assenza di un rigoroso calcolo dei costi-benefici nel prendere le decisioni, malgrado il "rischio calcolato" evocato da Mario Draghi nel suo discorso di riapertura. Ma calcolato da chi, e come, con quali obiettivi? A nessuno è dato saperlo». Bisogna dotarci di maggiori certezze per evitare il caos e guardare sempre avanti e non solo al presente. Così le conclusioni: «Il lockdown fu un atto sovrano di precauzione, coerente con la missione fondatrice dello Stato moderno in Thomas Hobbes, ovvero la protezione della vita. Che sia per mezzo della tecnica oppure della politica, del calcolo oppure della decisione, o ancora dell'intreccio tecno-populista di tutte queste dimensioni, è sempre la sicurezza che il potere moderno persegue a ogni costo. Spesso dimenticando di confrontare quel costo ai suoi benefici, come nel caso della gestione poliziesca del territorio che in Paesi diversi come Stati Uniti e Francia sta giungendo a un punto di rottura. Nella proliferazione dei cigni grigi che minacciano l'umanità siamo "imbarcati" in un giro di scommesse così grande che presto non avremo più abbastanza monete da lanciare per fare testa o croce». Finale da brivido e compito da far tremare i polsi per la democrazia.