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12 giu 2021

Il pragmatismo in politica

di Luciano Caveri

La Politica è fatta di scenari. L'ideale sarebbe riuscire a costruirli prevedendo quel che verrà. Capisco come sia sempre più difficile farlo. Ormai tutto cambia in fretta e non esistono bussole che indichino bene la direzione. Si diventa guardinghi, anche se questa caratteristica soporifera non fa parte del mio carattere. Quando ci vuole ci vuole e certi tatticismi alla fine stonano con obblighi di chiarezza e di operatività. In queste ore, in casa Union Valdôtaine, si celebra un congresso con tutti i limiti che ci sono per via dell'emergenza sanitaria. Di fatto da ormai più di un anno le riunioni politiche sono tabù e lo si è visto anche con le elezioni regionali autunnali, senza una vera e propria campagna elettorale, dominata dal virus e dalle sue conseguenze. Sullo sfondo, per chiunque sia in un angolo del vasto affresco autonomista, c'è sempre la solita solfa: ci si aggrega oppure no? Si può essere plurali in un solo movimento politico? Quali regole per una civile convivenza opportunamente studiata per non dividersi?

Sono interrogativi interessanti ed utili, che parlano non solo al nostro cuore, ma anche alla nostra razionalità, perché divisi ci si rimette sempre. Allora si tenta da tempo qualche ragionamento - raramente e mai in modo ufficiale - e soprattutto ci si interroga su come fare. Dato per certo il fatto che manovre di vertice non piacciono perché sembra essere il solito "inciucio", allora ci si barcamena sulla strada di "basi" che dovrebbero essere l'elemento fondatore, non partendo dall'alto ma dal basso, perché così in effetti prevederebbe la democrazia rappresentativa. Tesi giusta ma non di facile praticabilità e in questo alternarsi su "prima l'uovo o prima la gallina" vince l'incertezza e si aspetta, aspettando Godot, come si dice con vena amara e evidente ironia, quando una cosa sembra ormai imminente e poi non si verifica mai, lasciandoci con un pugno di mosche in mano. Simile al famoso «Partiam, partiam» per poi restare sempre lì in un'attesa che ricorda "Il Deserto dei Tartari" di Dino Buzzati con Giovanni Drogo nella Fortezza Bastiani che aspetta un nemico che non verrà mai. Qui sono gli amici, in teoria, a non arrivare. Penso che questo dilemma - élites politiche che decidono o cittadini-elettori che dispongono - rischi di fare degli autonomisti degli Asini di Buridano morti di fame nel dilemma tra mangiare un cumulo o l'altro di fieno. Allora penso che, fatto salvo che è di persone che si parla e dei loro ideali congiunti, resta chiaro che si dovrebbe partire dai problemi da risolvere, come elemento cardine e unificante. E, con franchezza, le questioni da risolvere sono difficili e direi spinose come gli aculei di un riccio di mare. Non ci si può distrarre sulle questioni singole e sul quadro complessivo del nostro sistema autonomista che arranca. Per cui certe scelte non sono un'opzione ma una necessità senza la quale il male potrebbe trasformarsi in peggio. Ma ormai dalla mozione degli affetti bisogna spostarsi sul piano del pragmatismo, altrimenti si parla si parla e si vedono pochi risultati.