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27 ott 2021

L'algoritmo che isola

di Luciano Caveri

Prendi un dizionario qualunque e cerchi "algoritmo". Trovi qualcosa del genere: «Con un algoritmo si tende a esprimere in termini matematicamente precisi il concetto di procedura generale, di metodo sistematico valido per la soluzione di una certa classe di problemi». Se lo prendi da un altro lato ti imbatti in questo: «La parola algoritmo deriva dal nome del matematico Mohammed ibn-Musa al-Khwarizmi, che faceva parte della corte reale di Baghdad e che visse tra il 780 e l'850 circa. Questo matematico viene considerato tra i primi ad aver fatto accenno a questo concetto, con la scrittura del libro "Regole di ripristino e riduzione"». Ma poi trovi un ulteriore passaggio, che ti avvicina infine a quanto vuoi esaminare: «Gli algoritmi sono ampiamente utilizzati in tutte le aree dell'IT (Information Technologies). Volendo fare un esempio di algoritmo in informatica, i motori di ricerca come "Google" sono basati proprio su questo concetto per poter rispondere quanto più coerentemente alla richiesta di un utente».

Cambiamo scenario. In queste mattine, entrando a Palazzo regionale ad Aosta, mi sono imbattuto in quelle persone - in genere poche decine, se non meno - che manifestano pacificamente contro il "green pass" con cartelli, girotondi e persino balli. Ognuno poi, in altra occasione, ha avuto a che fare con protestatari dì questo genere, convincendosi - e io sono fra questi - della totale inutilità dì avere un contraddittorio, anche se ci si prova. Il "no green pass", comunque si presenti, è in realtà sempre un "no-vax" e come tale portatore dì convinzioni assolute e irremovibili. Nessuna obiezione lo scuote e ti guarda, se ci provi, con compatimento e talvolta con livore, perché tu sei un pecorone vittima ed anche complice di un sistema, mentre lui o lei è una persona libera, davvero informata e resiste alle imposizioni frutto di una dittatura di cui ha svelato i meccanismi e li combatte. C'è qualche leaderino che li attizza, ma non ce ne sarebbe bisogno, perché il vero dominus che li manipola, prima instradandoli e poi alimentando le loro convinzioni con un vero lavaggio del cervello fatto dì una pioggia dì notizie e dati a loro conforto è proprio lui: l'algoritmo. Leggo sul sito psicologidigitali: «Ad ogni "social media" interessa che l'utente si senta a suo agio nella piattaforma e perché ciò avvenga filtrano le informazioni. Per l'utente che accede ai social questo filtraggio serve a gestire le centinaia di post dei suoi contatti. Questa logica degli algoritmi però pone un problema: finiamo per interagire sempre e solo con le stesse pagine e persone. Il rischio è di costruire degli ambienti social formati da persone con pensieri e idee comuni che si rafforzano sempre più: è il fenomeno delle "echo chamber"». Il dizionario online "Treccani" definisce così le "echo chamber": «Nella società contemporanea dei mezzi di comunicazione di massa, caratterizzata da forte interattività, situazione in cui informazioni, idee o credenze più o meno veritiere vengono amplificate da una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione all'interno di un ambito omogeneo e chiuso. Questo risultato è particolarmente importante perché dimostra chiaramente come la tendenza ad aggregarsi con persone con le stesse attitudini e interessi sia un processo determinante sia nel rinforzare l'echo chamber sia nel determinare la dimensione di un processo virale». Grazie anche ai sofisticati sistemi matematici dei "social" - ecco i già citati algoritmi - chi ci entra si trova a contatto solo con persone che la pensano nello stesso modo e questo crea una cassa di risonanza ed evita nella sostanza di avere confronti con persone che la pensando diversamente. Non solo l'opinione si cristallizza e si pianta nelle teste senza confronti con idee differenti, ma questo favorisce l'amplificazione delle "bufale" in un ambiente chiuso senza discussione e l'eco appunto si diffonde con maggior facilità, mancando ogni contatto con chi la pensa diversamente e sarebbe in grado di smontare convinzioni e credenze. Così i manifestanti che ho citato non solo rendono intangibili le loro convinzioni facendo gruppo e convincendosi a vicenda della bontà della loro fallace ricostruzione della realtà, ma anche tengono vive le loro convinzioni con documenti, testimonianze, notizie che i social forniscono loro attraverso adepti prigionieri come loro in un mondo chiuso e unidirezionale. A questo punto la setta è servita.