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23 giu 2022

L'Autonomia differenziata non è eversiva

di Luciano Caveri

Inizio, per capire dove voglio andare a parare, con l'ultimo comma del vigente articolo 116 della Costituzione: "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere "L", limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, "N" e "S", possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata". Il regionalismo differenziato appena citato, previsto per le Regioni ordinarie dall'articolo 116 della Costituzione, è diventato un addendo alla parte riguardante le Autonomie speciali. Sulla sua possibile applicazione si sono dette e si dicono un sacco di scemenze da parte dei detrattori di questa norma.

Fu quella di allora - e io c'ero alla Camera, quando si forgiò quanto previsto e sinora disatteso - una scelta avanzata per un regionalismo "à la carte" e non certo per creare Regioni ordinarie di "serie A" e di "serie B". La logica era stata quella di permettere a chi lo domandasse di poter avere più poteri e competenze in determinate materie ben definite. Dal 2001 ad oggi questa possibilità si è impantanata a causa di rigurgiti centralisti e ideologismi giacobini, che uniscono anche in questo caso parte della Destra a parte della Sinistra in un abbraccio sbagliato se non nefasto nel nome di un'unità nazionale tronfia e retorica, che dimentica la Repubblica delle Autonomie. Ha scritto della questione in queste ore, con una lettera al giornale "La Stampa", l'ottimo costituzionalista - che ho l'onore di poter considerare un amico - Francesco Saverio Marini. Osserva il professor Marini: «Il dibattito sull'Autonomia differenziata sconta, suo malgrado, il difetto di aver assunto una connotazione ideologica e politicamente identitaria, che lo espone ad analisi e posizioni preconcette e ne impedisce un esame sereno e tecnico. Alcuni dati sono, però, indiscutibili: anzitutto, vi è un articolo costituzionale, l'articolo 116, che da oltre vent'anni è rimasto inattuato; in secondo luogo, si è manifestata in modo netto da parte di diversi territori la richiesta di Autonomia, che si è concretizzata in referendum regionali approvati a larga maggioranza; in terzo luogo, è di tutta evidenza che alcune Regioni hanno amministrazioni efficientissime, mentre altre sono caratterizzate da apparati ipertrofici e inadeguati». Segue una riflessione generale, interessante anche dalla visuale di un'antica Autonomia come quella valdostana: «A ciò si deve aggiungere che uno dei principali difetti del nostro regionalismo è ravvisabile proprio nello scarso coinvolgimento dei territori nelle scelte di fondo che li riguardano. La Costituente, salvo che per le Regioni speciali, ritenne di calare dall'alto le Regioni e di prevedere per esse un trattamento uniforme. La riforma del 2001, ispirandosi a modelli largamente diffusi nel diritto comparato, ha invece optato, opportunamente, per forme di regionalismo differenziato. Del resto, la differenziazione è funzionale alla buona amministrazione: si deve, infatti, sfruttare l'efficienza dove c'è a livello regionale, e consentire allo Stato di intervenire dove la macchina regionale si dimostri inadeguata». Ma intanto la richiesta di più Autonomia langue e aggiungerei che si manifesta come non mai un rigurgito neo-centralista, che non è solo politico e che fa rabbrividire i regionalisti di vecchia schiatta come chi vi scrive. Basta guardare per dimostrarlo - e Marini lo potrebbe argomentare - il ricorso sistematico del Governo contro le leggi regionali alla Corte Costituzionale e invasioni di campo di poteri statali che rosicchiano spazi di Autonomia un tempo impensabili. Osserva Marini, tornando al punto: «In questo contesto si inserisce il testo, ancora in lavorazione, di un disegno di legge di attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, della ministra Gelmini. Pur essendo il testo (non il primo elaborato in questa materia) in uno stato preliminare, ha già suscitato, proprio in ragione di un approccio sin troppo ideologico, resistenze e argomentazioni quantomeno ingenerose. Si tratta, infatti, di una proposta che innanzi tutto definisce, doverosamente, un percorso procedurale di attuazione dell'Autonomia differenziata. Peraltro, il testo in bozza adotta una scelta garantistica, prevedendo un adeguato coinvolgimento tanto degli Enti locali, quanto del Parlamento. La procedura proposta riconosce, infatti, un ampio margine di intervento del Parlamento, sia in via preventiva attraverso la Commissione bicamerale per le questioni regionali; sia a valle con il voto finale delle Camere sull'intesa, come sottoscritta dalle parti. La bozza di testo, inoltre, evita di intaccare i diritti costituzionali che devono essere riconosciuti in modo uniforme sull'intero territorio nazionale. A questo fine è assicurata la centralità dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni, da stabilire con legge statale secondo la vigente disciplina di finanza pubblica. Infine, la bozza di legge quadro evita accuratamente ogni incursione sui profili del finanziamento dell'Autonomia differenziata a regime, limitandosi solo a richiamare gli istituti vigenti di finanza pubblica già previsti nell'ordinamento, ancorché non ancora applicati. Da questo punto di vista, è alquanto ingenerosa, per non dire strumentale, l'accusa che questa proposta di legge quadro voglia perseguire quella "secessione dei ricchi", che nemmeno i cosiddetti ricchi potrebbero volere. Semplicemente, la bozza di legge sembra traguardare un quadro dinamico di finanza pubblica che dovrà trovare il doppio compimento con l'attuazione del federalismo fiscale e della delega fiscale ancora in Parlamento. Insomma, continuare a rimandare l'attuazione di parte della Costituzione in attesa del "meglio", rischia solo di farci diventare nemici del "bene"». Temo purtroppo che l'anti-regionalismo di diversa origine e pure agevolato da un giornalismo disinformato, si faccia oggi sistema in alleanze bizzarre per bloccare qualunque novità e per affermare un sovranismo statale invasivo e onnivoro in spregio davvero alla Costituzione e all'Autonomia dinamica auspicata dalle stesse Regioni a Statuto speciale e Province autonome con quello strumento ormai trascurato e persino paralizzato con il Governo Draghi delle norme di attuazione.