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14 gen 2023

I predicatori dell’addio allo sci

di Luciano Caveri

E’ una vecchia storia alla quale mai riuscirò ad abituarmi. Del mondo della montagna si parla, fra le notizie principali, prevalentemente per delle notizie negative. La casistica è varia: frane minacciose, omicidi violenti, incidenti alpinistici. Il tam tam sul famoso seracco della Val Ferret ha occupato settimane estive in un’attesa del ”cade, non cade” persino ridicolo, mentre il delitto di Cogne ha causato serate di Porta a Porta e prime pagine sui giornali, così come sciatori o alpinisti vittime della montagna “assassina” sono purtroppo un classico. Tutto noir oppure, peggio ancora, solo folklore, ma questa è altra storia. La nuova puntata di queste settimane della montagna in scuro è: non nevicherà mai più e dunque addio sci e affini. Attenzione: non sono solo degli scappati di casa a volgarizzare così il cambiamento climatico, ma ci sono anche esponenti che si occupano di montagna a stracciarsi le vesti e ad annunciare con toni millenaristici il punto di non ritorno e la conseguente catastrofe. Vi è poi tutta una parte dell’ecologismo estremo che sembra godere del riscaldamento globale se utile a certi loro pensieri per avere una montagna “selvaggia” finalmente liberata da quelle che loro considerano speculazioni che ammorbano la Natura pura e incontaminata. Per le frange estreme, che esistono e non faccio caricature, la presenza dei montanari, che “antropizzano” e dunque disturbano, è un peso di cui – per tornare all’Eden – si può tranquillamente fare a meno. Come pensino di scindere l’uomo dalla Natura, come se fosse un ingombro, lo sanno solo loro in una logica suicida per l’umanità. Sogno o son desto? Sarà che da moltissimi anni seguo, spesso con il supporto scientifico del mio amico Luca Mercalli, l’impatto del cambiamento climatico sulle nostre montagne e non solo nella mia Valle d’Aosta con studi appositi. Fummo noi, gruppo organizzatore dell’Anno delle Montagne 2002, i primi tanti anni fa a porci gli interrogativi sulle implicazioni dell’’elevarsi delle temperature sulle montagne di tutto il mondo e in primis, nel mio caso, sulle Alpi. Per cui chi oggi scopre l’acqua calda e drammatizza, come se mai se ne fosse parlato, non si sa bene dove viva. Tutti gli argomenti sono stati trattati e certo la siccità di questa estate e la stagione con poca neve che si ripete rispetto alla stagione scorsa incide in profondità, ma da qui a farne una versione spaventosa ed emotiva ci passa. Cambia il clima? Verissimo e inoppugnabile. C’entra l’incidenza umana? Certo, mentre in passato i clamorosi cambiamenti climatici che hanno squassato la Terra erano frutto delle dinamiche terrestri e umane, oggi sono i nostri comportamenti che accelerano i processi naturali. Ho letto libri negazionisti, che sostengono che siamo nel solco della normalità, e incontrato anche da noi persone che dicono che i ghiacciai vanno e vengono da sempre è così si è forgiata la stessa Valle d’Aosta. Sfugge, però, la velocità delle mutazioni in atto e il palese segno umano in questa accelerazione, dimostrata scientificamente. Ma non si risolvono le cose solo con i necessari interventi che invertano il riscaldamento globale, ma anche con informazioni giuste che evitino la paura come costante spada di Damocle sulla nostra testa. Non serve agitare fantasmi e anzi è pratica dannosa, ben diversa dalla consapevolezza e dalla necessità di avere strumenti necessari per adeguarsi in tempo ai cambiamenti. I cambiamenti devono avvenire senza isterismi e predicatori, ma con i tempi dovuti e buone idee. Questo è il senso di responsabilità non risolvibile con slogan e adoperando quanto avviene per straparlare di “modelli di sviluppo”, il nuovo mantra anche per le montagne. Quando si passa alle proposte molti castelli ideologici diventano castelli di carte e crollano miseramente e non ci resta che affrontare la realtà con il necessario impegno e sapendo che i montanari hanno sempre trovato il modo di adeguarsi a circostanze nuove.