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27 feb 2023

La Festa della Valle d’Aosta il giorno dopo

di Luciano Caveri

Scrivo oggi ex post della Festa dell’Autonomia, perché ieri - nel cuore della polemica politica contingente - ero ancora sotto choc e anche investito dalle critiche e dal disagio di tante persone amiche per un voto in Consiglio regionale, che naturalmente ha sconcertato anche me. Guardo avanti come necessario e non mi attardo sulle polemiche, ma annoto solo che ”franchi tiratori” è un termine settecentesco e designava gli antesignani degli odierni cecchini. Dal contesto bellico è passato al linguaggio politico e giornalistico italiano. Ma mentre in guerra i franchi tiratori agiscono a supporto della loro fazione, i franchi tiratori in politica usano il segreto dell’urna per agire contro la loro stessa parte politica. C’è una bella differenza fra imbracciare il fucile per il proprio esercito e invece usare la pallottola/scheda elettorale come fuoco amico per impallinare alla schiena un alleato. Chiusa parentesi, torno all’Autonomia e alle diverse necessità da evocare nel corso di una Festa che nasce per ricordare lo Statuto. Per un certo periodo, su mia iniziativa, venne celebrata una Festa più profonda il 7 settembre, data in cui si metteva assieme l’antico e cioè la presenza in Valle d’Aosta dei Savoia per le udienze in occasione di San Grato, Patrono della diocesi, con il Decreto luogotenenziale del 1945, che è il seme da cui fruttò lo Statuto. A differenza della celebrazione di ieri, tutta ufficiale e ristretta a poche centinaia di persone, l’idea era quella di una vera e propria festa popolare. Durò poco per ostilità politiche su cui non torno. Ma, pensando a ieri, ne confermo la bontà, perché una Festa su una data storica più significativa e con una comunità davvero coinvolta sarebbe un punto di riferimento utile per celebrare il nostro senso identitario partecipato, senza il quale le ragioni politiche rischiano di non avere più quella base di conoscenza e di consapevolezza che sono le fondamenta stesse della nostra Autonomia e anche della necessità di espanderla nel tempo. Ricordo, avendo vissuto le esperienze elettive che ho avuto, che a Roma e a Bruxelles bisogna sempre spiegare la nostra Autonomia, affermandone le ragioni condivise dal nostro popolo, altrimenti la Politica sarebbe solo un’espressione difensiva di diritti acquisiti ormai tanti anni fa e non un processo dinamico e vivente in continuo aggiornamento. A diritti - lo dico sempre - corrispondono doveri. Il dovere di capire la nostra Storia, di sapere cos’è lo Statuto, di essere attenti alle particolarità linguistiche e culturali, di avere cura a vantaggio della nostra economia della nostra Montagna, di far passare alle nuove generazioni il messaggio della fierezza di essere valdostani con la libertà per tutti quelli che vivono qui di condividere i valori della nostra comunità. Capisco quanto sia complesso e impegnativo, ma solo così la Festa attuale evita di essere un momento di soli discorsi ufficiali. Per altro ieri sono stati di qualità, in un momento in cui non era facile esprimersi in pubblico per la vergogna di una crisi ancora irrisolta e bene ha descritto la situazione con lucidità il Presidente della Regione Luigi Bertschy. Ogni celebrazione va, comunque sia, inserita in uno sforzo personale e collettivo di alfabetizzazione autonomista, resa ancora più indispensabile in un mondo globalizzato, che non è in sé un male, perché siamo cittadini europei e del mondo, ma lo diventa se questo serve a sradicare e spersonalizzare noi e soprattutto i nostri ragazzi. Aggiungo solo che esiste di certo un ruolo della scuola, dalle scuole dell’infanzia all’Università valdostana, di lavorare bene sulla civilisation Valdôtaine e non per una questione di chissà quale indottrinamento, ma per fornire in modo oggettivo e pluralista le ragioni dell’esistenza stessa di una piccola Regione autonoma come la nostra. L’Autonomia ha purtroppo nemici esterni e pure interni, sia per ragioni ideologiche che per semplice sciatteria e scarsa memoria. Per cui anche le famiglie - ciascuno di noi - si deve sforzare di fare il proprio e cioè quanto necessario per mantenere viva una comunità che già rischia grosso con fenomeni epocali come la denatalità che svuota le nostre culle.