Gli avvenimenti luttuosi distorcono il tempo: il dramma dell'Abruzzo sembra avvenuto mesi fa tale e tanta è stata l'intensità dei fatti in quel pastone di dolore, sofferenze e paura che ci è stato lividamente restituito da una televisione sempre più intrusiva. Quel che più mi ha colpito, oltre ad una Procura aquilana aggressiva che annuncia arresti e un'inchiesta rapida, è una melassa di buonismo in parte sospetta. Una sorta di esibizione solidaristica che - era sufficiente sentire certi fili diretti sulle radio nazionali per non dire degli sms di queste ore di augurio pasquale collegati ai terremotati - finiva per suonare come vuota e ripetitiva. Una sorta di grande rito collettivo interpretato naturalmente dai più in buona fede e con sincera partecipazione come se il terremoto fosse un pretesto per avere un momento comunitario forse utile, più in generale, per esorcizzare la crisi. La solidarietà, resa concreta nello sforzo popolare anche da una miriade di raccolte di fondi, dovrebbe alla fine concentrarsi su di un aspetto concreto che spetta alla politica, unico antidoto all'oblio che verrà: mettere in campo un progetto vero per la ricostruzione con soldi veri e davvero sufficienti per farlo. Per ora le cifre annunciate sono ridicole, come l'idea di spostare L'Aquila, dando vita ad una nuova città. Per analogia andrebbero preventivamente delocalizzate centinaia di antiche città italiane in zona sismica.