Mi aveva molto divertito leggere che nei graffiti, stratificatosi nei secoli sulle pareti del castello d'Issogne, ci fossero delle parolacce. Per cui l'uso odierno - o forse l'abuso - è nel solco delle tradizioni... Da ragazzino, ad esempio, ero incuriosito dai miei amici imperiesi per l'utilizzo, assai ripetitivo, dell'interiezione «belin», che mostra - rispetto al patois che è abbastanza scevro da l'uso ripetuto delle parolacce - un uso dialettale divertito di un'esclamazione che naturalmente con l'uso perde, come in questo caso, il riferimento all'organo maschile o (penso a certi lombardi) all'organo femminile. Sono queste due - pur a seconda delle zone e in infinite varianti che ricordo snocciolate da Roberto Benigni - le espressioni colorite che più si utilizzano nelle lingue locali o nell'italiano nelle sue molte varianti. In politica si usano le parolacce? Gianfranco Fini lo ha appena fatto, non a caso di fronte ad un platea di giovani, definendo «uno stronzo» chi è razzista, probabilmente per trovare un'assonanza linguistica con quel pubblico. Comunque l'uso esiste e ricordo, in certe agitate sedute della Camera, come la Presidenza richiamasse chi nella foga si faceva scappare l'insulto o l'espressione salace, fedelmente riportate da quegli artisti della trascrizione che sono sempre stati gli stenografi parlamentari, ben prima delle registrazioni.