La cronaca riporta episodi del genere di tanto in tanto. Il più recente è avvenuto in occasione dell'arresto di un boss mafioso a Reggio Calabria. Folla plaudente fuori della Questura: peccato che applaudisse il mafioso e non i poliziotti. A chiunque sia capitato, come a me, di parlare con magistrati antimafia, che confermano questo copione ripetuto all'infinito con "popolo" plaudente per il "cattivo" e le Forze dell'ordine aggredite mentre eseguono arresti di malviventi, vien da chiedersi se non sia ora davvero di dire «basta». In occasione del 150 anni di Unità d'Italia sarebbe saggio porsi qualche interrogativo riguardante il tasso di legalità e il livello civico di una parte della popolazioni del Sud. Senza fare di ogni un'erba un fascio e pensando alle fatiche e ai rischi quotidiani dei galantuomini, sarebbero ora di chiedere a chi non crede allo Stato e alle sue leggi quale dovrebbe essere l'alternativa.
Esiste da questo punto di vista un filone revisionista del meridionalismo italiano che così semplifica: brutti e cattivi i piemontesi che ci hanno invaso, viva il brigantaggio che era un'espressione pre-politica di un malessere contro l'"invasore" sino a giungere a finezze di lettura storica tipo «se il Nord non ci avesse occupati militarmente, chissà quale meravigliosa strada di sviluppo autonomo avremmo trovato». La storia non è fatta di supposizioni e fantasie, per cui è meglio lasciar perdere, ma che sia chiaro che a certe dichiarazioni vien da dire: «Benissimo. Volete diventare instabili come un Paese del centro Africa o come alcuni Stati sudamericani? Siate benvenuti e se allo Stato preferite davvero i boss e i loro sistemi mafiosi ripensiamo in concreto a questo secolo e mezzo di convivenza e salutiamoci così, senza rancore». Semplifico naturalmente e le semplificazioni possono essere rozze e sgradevoli, ma sarà bene che, tolta la retorica e il piagnisteo, si sincronizzino gli orologi sul destino comune nella Repubblica, altrimenti - nel nome del federalismo - ci si può anche dire «addio» e ognuno sia fautore, chiamandosi autodeterminazione, dei propri destini.