Con oggi sono 68 i giorni di galera per Silvio Scaglia, il manager del settore delle nuove tecnologie, mio coetaneo, finito in una complessa inchiesta per questioni fiscali e rientrato di sua volontà dall'estero per mettersi a disposizione della Giustizia. Si sta sviluppando un movimento d'opinione, grazie anche ad un blog, che dice: non esiste un rischio di fuga (sennò se ne stava all'estero) e neppure di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove ( i meccanismi su cui si basano le accuse paiono accertati). E dunque questa prolungata incarcerazione - tutta preventiva e cioè precedente a qualunque livello di condanna - sembra un meccanismo di pressione ingiusto e immotivato e sulla libertà personale è bene essere vigili, perché tutti potrebbero esserne vittime. Conosco Scaglia e, pur non sapendo con esattezza che cosa gli venga ascritto se non quanto letto sui giornali, sono stupito che lo si tratti peggio di come vengono trattati delinquenti comuni e perciò sottoscrivo gli appelli alla sua scarcerazione. Non lo faccio perché è un "big" e neppure per la simpatia che ho sempre provato per un "capitano d'industria" che si è cimentato con successo in un campo nuovo come quello - per semplificare - della telefonia mobile e nelle nuove frontiere della fibra ottica (e sentirlo mentre raccontava gli sviluppi futuri era interessante per chi fa politica) e neppure perché è senza dubbio legato ed affezionato alla nostra Valle e in particolare ad Ayas. Lo faccio perché, superata un certa soglia, l'uso della prigione non è logico e viola anche elementari principi costituzionali che sono nel nostro ordinamento particolarmente forti a tutela di chi è imputato sino a condanna definitiva. Ciò non ha nulla a che fare con la sua eventuale colpevolezza che, se accertata, non potrà ovviamente prevedere sconti o lasciapassare, perché semmai la celebrità e il ruolo pubblico dovrebbero essere considerati, almeno moralmente, un'aggravante. Ma, intanto, torni a casa.