Qualche giorno fa, fra i dibattiti di cui non si può fare a meno, era emerso lo scontro su di una notizia: al Festival di Sanremo sarebbero state cantate "Bella ciao" e "Giovinezza". Scelta improvvida, ammantata di spirito di conciliazione, una sorta di revisionismo storico d'accatto. L'idea è presto tramontata, ma non cambia il fatto che le canzoni - assurte a simbolo - hanno dietro di loro storie più complesse. I valdostani lo sanno bene con la loro "Montagnes Valdôtaines", che ho avuto l'onore di proporre come inno ufficiale con legge regionale del 2006, derivata da la "Tyrolienne des Pyrénées" di Alfred Roland, ma che si è trasfigurata a beneficio della nostra comunità. Così il canto partigiano "Bella ciao", affermatosi a partire dall'Appennino emiliano, deriverebbe - come motivo musicale - da un canto ottocentesco delle mondine padane o addirittura da una ballata francese del Cinquecento o forse da una melodia yiddish. Mentre "Giovinezza" nasce nel 1909 come canto goliardico della fine degli studi degli universitari di Torino sulle parole ridanciane di Nino Oxilia e sulle note di Giuseppe Blanc (valsusino). Diventa poi canto bellico con Alpini e Arditi e dalla Prima guerra mondiale transita al fascismo come inno ufficiale con il testo di Salvator Gotta. In epoca di 150 anni di unità d'Italia - in un libro di Arrigo Petacco - trovo un'annotazione sul tema trasfigurazione dei canti assai curiosa: dopo l'unificazione, un brigante calabrese, Riccardo Colasuonno detto Ciucciarello, venne ucciso dai "piemontesi" e gli venne dedicata una canzone che cominciava "Ciucciarello pecché si muerte? Pane e vino non t'e mancave, la 'nzalata steva all'uerto..." Il musicista Gorni Kramer riprese il motivo in onore del... gatto Maramao. Curiosi destini incrociati in musica.