Sin da piccolo ho mangiato le "bugie" a Carnevale: paiono essere, nella diversità delle ricette anche nei nostri paesi, la derivazione di dolci fritti nel grasso di maiale di epoca romana, i "frictilia". Dimostrazione che il Carnevale ha radici profonde e finisce per essere - pensiamo alle analogie fra i Carnevali alpini ben chiariti nel museo delle Alpi del Forte di Bard - una stratificazione impressionante in cui si aggiungono elementi più che toglierne. E poi i piatti di Carnevale confermano questa caratterista "crassa" nel cibo come nell'umorismo: fagioli grassi, salsiccia, baccalà, polente varie. Ricordo l'abitudine di prelevare con il "baracchino" i prodotti cucinati in cucine da campo per portarseli a casa. Sul bere credo che sia facile citare, senza pruderie, le ampie libagioni dappertutto e senza esclusione di colpi per alimentare quella parte un pochino trasgressiva del Carnevale, sperando che tutto avvenga con la necessaria attenzione contro gli eccessi. Anche quest'anno un esempio della componente alcolica o meglio enoica è la "Féta di barò" a Cogne con i coscritti e un barile di vino per grandi bevute, che viene portato su di un carretto trainato da un asino non sottoponibile a test con l'alcolimetro. Un tempo le regole severe della Quaresima riequilibravano gli stravizi carnevaleschi.