"La spending review 2, la vendetta". Se uno avesse la forza di fare lo spiritoso potrebbe chiamare così la tappa del prossimo decreto legge (con relativa fiducia) che si profila. Eppure sta bollendo in pentola e tra breve il piatto sarà servito caldo e la pietanza non sarà molto gradevole. Credo che questo passaggio avverrà in modo proditorio, a Camere ancora chiuse e penso che il gran parlare di sanità sia stato in parte un diversivo. Per gli esecutivi - e non solo a livello centrale - la sosta parlamentare offre grandi vantaggi. Senza essere irrispettosi: quando non ci sono i gatti, i topi ballano. Per altro in questa epoca di parlamentarismo debole e "sputtanato" i gatti sono così inermi che le pantegane se li mangiano in un boccone e nella pancia del ratto si lamentano flebilmente. Purtroppo l'umorismo nero è un genere borderline in cui si rischia sempre la gaffe o il cattivo gusto e dunque va usato con cautela. Certe mie battute qui son diventati "casi politici", segno che chi legge non sempre coglie il senso nel difficile e diuturno dovere di riferire. La storia della prossima "manovra" è nota: la logica principale è tagliare la spesa pubblica, incrementare le tasse e santificare il mercato. La prima è una scorciatoia e per fare in fretta si agisce non con tagli mirati ma con il decespugliatore. La seconda è una gallina dalle uova d'oro: la tassazione, specie spennando le solite galline, è un metodo facile facile. La terza è un pensiero: la liberalizzazione sortisce miracoli e il privato è più virtuoso del pubblico. Capisco che così semplifico e faccio dei torti a molte delle grandi intelligenze nel Governo che non si riconoscerebbero in una logica così banalmente schematica. Oltretutto il Governo Monti sta costruendo un percorso sulle macerie precedenti e questo ha consentito più pazienza e comprensione del solito. Ma non si tratta di materie inesauribili. Credo che mai come in questo momento governare l'Italia stanchi e per i Governi regionali, che in questo periodo scrivono i propri bilanci per gli anni a venire, oltreché le manovre correttive rese necessarie, stanca ancora di più. Questo deriva da trasferimenti che si riducono in corso d'opera, da norme che cambiano nello spazio di un mattino, da procedure assodate che si sciolgono come neve al sole. Ma l'autonomia, anche se vilipesa e calpestata, significa sempre combattività e assieme senso di responsabilità. Direi che necessita anche la capacità di rompere gli schemi, cui tutti siamo naturalmente portati a rifarci, perché l'abitudine è una cattiva consigliera. Come diceva Sant'Agostino: «un'abitudine, se non contrastata, presto diventa una necessità». Con i cambiamenti in corso meglio essere movimentisti.