I programmi elettorali, che alle elezioni regionali in Valle d'Aosta fanno parte integrante della presentazione delle liste e degli eventuali apparentamenti, sono un esercizio interessante, cui ho collaborato in passato, così come ho sempre scritto di mio pugno i programmi per le elezioni politiche o europee, quando sono stato candidato e dunque parte attiva nell'organizzazione delle campagne elettorali. Spesso sono stato in questo accusato di un modernismo dissonante rispetto ai rituali della "vecchia politica", come quando obiettai senza successo su certi riti autoreferenziali come i comizi vecchio stampo e ogni cambiamento in merito pareva essere lesa maestà e violazione di antichi riti buoni per tutte le stagioni. Con la stessa logica saremmo ancora ai piccioni viaggiatori o ai salassi in medicina. Il mondo non si ferma e chi non si adegua resta indietro, magari sciacquandosi la bocca con le tradizioni e il bel tempo che fu: ormai aborrisco la retorica - ad esempio sulla nostra autonomia - quando al posto di essere un elemento arricchente serve come un maquillage pesante e volgare a coprire le rughe di cose e pensieri invecchiati malamente. E' un esercizio interessante la scrittura dei programmi, in cui cercare un mix giusto fra problemi politici, soluzioni amministrative, ideali e valori e anche naturalmente un impegno per dare una veste allettante e leggibile. Penso che oggi, con la maggior rapidità e secchezza dei messaggi e la forte componente d'interazione di Internet, oltretutto in un complesso di multimedialità senza precedenti, si aprano prospettive assai interessanti per una rifondazione della comunicazione politica come la conoscevamo e praticavamo sino a pochi anni fa. Credo di poter dire che sempre più c'è bisogno in politica di buttare a mare certi approcci elettoralistici di diverse gradazioni. Non mi riferisco ai sospetti di voti venduti e comprati (magari con denaro, promesse di business o banalmente con sconti sulle assicurazioni) che sono un reato che solo "Alice nel Paese delle Meraviglie" potrebbe ignorare, ma a logiche più artigianali di "do ut des", a clientele da basso Impero, a cordate che spesso privilegiano il candidato mediocre ma fedele come se si trattasse di un concorso canino. Su questo terreno fertile agiscono i lacchè che sono un cancro proprio per l'indomita capacità di essere banderuole, compresa la disperazione quando si rendono conto di aver sbagliato i calcoli e scelto la rotta sbagliata. Intendiamoci: queste sono degenerazioni, anzi malattie più o meno gravi che non inficiano la bontà della politica e delle democrazia nei loro fondamenti. Ma quel che turba è proprio la difficoltà di disfarsi delle mele marce che finiscono per fare andare a male tutto il cesto. Dopo tanti anni di politica, penso che - avendo maturato tante esperienze - questo sia un aspetto cui mi vorrei dedicare davvero: contestare una certa deriva che alimenta poi i populismi come risposta scorretta a problemi veri.