Era comprensibile che attorno alla politica valdostana, che è fatta come dappertutto di antagonismi, si sviluppassero, in questo periodo piuttosto caldo e pure in odor di elezioni, atteggiamenti non proprio "urbani" e emergessero anche chiassose tifoserie. L'amplificazione è dovuta ai "social media" che offrono un vasto palcoscenico a certi che prima si limitavano a sentenziare appoggiati al bancone da bar o ad un biliardo nel fuggi fuggi degli avventori. Chi gestisce un blog da una dozzina d'anni sa che esistono i maleducati e gli stupidi, perché ci ha convissuto nelle epoche pionieristiche, quando il Web era ancora pieno di paranoici in libertà. Neppure formule "soft" di registrazione, come quella qui prevista, inibiscono a qualche "solito noto", ogni tanto, di lasciare un graffito insultante. In genere, se visitatori abitudinari, qualunque travestimento si inventino, mi piacerebbe chiamarli al telefono per dire loro: «guarda, minchione, che so bene che sei tu!». Ma mi piace che si sentano aggressivi e vincenti come dei "Diabolik" in calzamaglia. Su "Twitter", invece, la tipologia si divide in due grandi famiglie. Ci sono i fans dei tuoi competitori politici che ti insultano, come farebbe un hooligan sbronzo di birra, non solo per il gusto di farlo, ma per far vedere al Capo - che i "tweet" manco li legge - quanto sono cattivi ed efficaci. Ci sono poi, in parte sottoinsieme della categoria precedente, gli anonimi che, con "nickname" ammiccanti, ti picchiano duro forti della maschera che nasconde il loro volto con il medesimi coraggio di chi scrive insulti nelle pareti dei gabinetti pubblici. Dunque i dialoghi su Internet dimostrano la grande ricchezza dello strumento, se usato con cognizione di causa, educazione e con il coraggio di affrontare le persone senza mediazioni. Mentre dall'altra ci possono essere miserie e bassezze che pian piano verranno superate da regole e prassi che evitino certi aspetti da saloon del Far West che nulla hanno a che fare con la sacrosanta libertà d'espressione.