Ho seguito per anni, prima in Italia e poi in Europa, i destini della professione di maestro di sci in ossequio, come base di partenza, a quella competenza primaria che il nostro Statuto d'autonomia prevede alla lettera "u" dell'articolo 2 della nostra "Costituzione regionale" in materia di "ordinamento delle guide, scuole di sci e dei portatori alpini". Argomento sempre caldo nei rapporti con Roma, oggi come in passato, per il desiderio da sempre esistente dal centro di rosicchiarci poteri e competenze. Chi è curioso su certi antefatti storici vada sul sito della Corte Costituzionale a leggersi la sentenza numero 13 del 17 marzo del 1961, a conferma che la difesa dell'autonomia speciale ha caratterizzato tutti i decenni che ci precedono sin dai primi atti del 1945 dell'autonomia contemporanea. Un'autonomia dinamica, fatta di alti e bassi, che obbliga a tenere la barra dritta contro ogni tentativo di invadere i confini del nostro particolare ordinamento giuridico. Roma oggi tenta, spesso a vanvera, di giocare a questa "logica invasiva", come di recente avvenuto con la decisione - che spiego nel mio intervento in Consiglio qui sotto - di impugnare una legge regionale appunto sui maestri di sci. Si tratta di un esempio emblematico della complessità di porre la nostra legislazione regionale in rapporto alla normativa comunitaria e a quella nazionale. Un esercizio di equilibrismo cui non si può venir meno per non darla vinta a chi vorrebbe che capitolassimo dalle nostre prerogative, accettando di trasformare la nostra specialità in una fotocopiatrice di normative scritte altrove. A questa prospettiva, cui hanno ceduto anche certi autonomisti, io non credo che si dovrà mai cedere.