La morte di Franco Balan dimostra che anche gli artisti non sono immortali. Franco - per me è sempre stato così, per nome - per la mia generazione era il grafico-artista per eccellenza. Siamo cresciuti con i suoi cartelloni, con i suoi disegni, con i suoi quadri. Uno dei pochi, in epoche lontane, ad avere reti fuori Valle dove lui, piccolo e pieno di energia, faceva da ambasciatore di tanti aspetti di quella valdostanità che aveva sposato e di cui era cantore. Aveva accumulato medaglie con premi importanti, che portava con fierezza e anche con una certa autoironia. Era il suo un "gauchisme" elegante e militante, ma senza mai essere pesante, perché le sue mani, rapide e abili come il volare di una farfalla, erano collegate ad un cervello curioso che gli impediva troppi ideologismi. Invecchiava come tutti, ma in fondo era sempre uguale con la sua voglia di fare e di inventare e ancora qualche anno fa, ormai prossimo agli ottant'anni, quando pensavo che lavorava già quando io nascevo, restavo stranito a chiedermi dove rinvenisse ancora quel l'acqua sorgiva di fantasie da cui traeva la sua ispirazione colorata. Un eterno bambino in corpo di vecchio. Immagino che ora giocherà con le nuvole e se troverà angeli disponibili penso che tra pochi giorni non saranno più bianchi e con le ali d'ordinanza, ma verranno destrutturati, dipinti, ritagliati e un angolo del paradiso porterà la sua firma. Domani, quando entrerò nel mio ufficio, dove campeggia un suo quadro, ricorderò la sua voce stridula e la sua figura minuta e caratteristica, che sembrava un... Balan.