"Sono nato a Milano la mattina del 3 gennaio 1956. Nevicava di brutto già dalla notte prima. Non che mi ricordi, me l'ha raccontato mio padre. Dice che, nell'ansia e la fretta di portare in tempo mia madre in clinica, per poco non ci capottavamo tutti (e tre). L'ho perdonato: sono totalmente incapace di montare le catene, come lui". L'umorismo di Gioele Dix, più vecchio di me di due anni, mi ha sempre fatto morire dal ridere, come dimostrato da questo incipit della sua biografia sul suo sito, ricco di notizie sulla sua carriera. Credo, come molti, di averlo visto per la prima volta in televisione nei panni imbattibili dell'"automobilista incazzato nero". Ricordate il refrain? «Io sono un automobilista, ed essendo un automobilista sono sempre costantemente incazzato come una bestia!». Dal suo linguaggio, avevo percepito una storia personale e familiare imbevuta di cultura. La conferma l'avevo avuta anche vedendolo come attore, fuori dal ruolo di cabaret alla "Zelig", in una serie di film in questi anni. Ora, con il recente romanzo "Quando tutto questo sarà finito", David Ottolenghi racconta la storia della sua famiglia ebrea nella temperie della Seconda guerra mondiale. Dix - uso il nome d'arte - mette il suo talento di scrittore a disposizione del papà Vittorio, che, così si spiega all'inizio del libro, gli ha svelato, affinché le raccontasse, le vicende dolorose e avventurose seguite alle leggi razziali. E' bene sapere e conoscere per reagire a quanto sta avvenendo in una logica di oblio più o meno malevolo. Infatti, troppo spesso in questi anni, più il tempo trascorso da allora passa e più crescono le tentazioni giustificatorie per quella dittatura, con l'alibi di un regime all'acqua di rose e della solita formula "italiani brava gente". Il libro ricorda di questa famiglia obbligata, il colmo per un ebreo fascista della prima ora, a fuggire in Svizzera, dove vive fino al dopo Liberazione, dispersa nei diversi Cantoni con il racconto delle storie personali che si incrociano con la grande Storia. Mi mancava questa conoscenza più addentro degli esuli in Svizzera e in parte i fatti mi ricordano mio papà che accompagnò ebrei in fuga dal Col Fenêtre nella conca di By e mio zio Séverin, che fuggì, lungo lo stesso sentiero, nella Confederazione, perché minacciato di morte dai fascisti. Interessante la riconoscenza che il protagonista, Vittorio Ottolenghi, serberà sempre per la Confederazione che lo accolse e, in parte, lo formò. Resta, sullo sfondo, il tragico destino del popolo ebraico, non riassumibile solo nelle già note e terribili vicende dell'Olocausto, vaccino contro il virus, sempre vivo purtroppo, dell'antisemitismo. Terribile la battuta, in un passaggio che evidenzia - come altrove nel libro - il divertente umorismo ebraico, sul fatto che i maschi ebrei sono bravissimi a fare i bagagli in fretta. Devo spiegare il perché?