Ugo De Siervo ha studiato e insegnato per una vita diritto costituzionale ed è pure stato presidente della Corte Costituzionale. Ieri su "La Stampa" ha scritto un editoriale dal titolo "Stato-Regioni, la chiarezza che manca", che deve far riflettere anche chi, come me, è sempre stato un difensore delle autonomie speciali. Bisogna sempre anticipare le obiezioni, quando ci si trova in un periodo costituente, come l'attuale, pur costruito artificiosamente e non perché esista davvero uno spirito costituente. De Siervo ricorda che si è cominciato a votare al Senato e affonda la lama: «La proposta resta però caratterizzata da due discutibili scelte di fondo: in primo luogo, diminuiscono molto i poteri legislativi ed amministrativi delle Regioni rispetto a quanto attualmente previsto nel Titolo V della Costituzione, andando anche al di là di quanto era stato ipotizzato dagli stessi critici delle Regioni negli ultimi anni; tutte le innovazioni relative a Regioni e Province non si applicano che alle quindici Regioni ad autonomia ordinaria, mentre per le altre cinque (Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) tutto resta come prima, in ipotetica attesa di future modifiche dei loro statuti speciali (che sono leggi costituzionali). Addirittura il forte gruppo di pressione che evidentemente ha operato sia al governo che nella Commissione ha addirittura fatto prevedere che queste future modifiche potranno intervenire solo se il Parlamento conseguirà previe intese con le Regioni e Province autonome interessate». Quest'ultimo punto - visto dalla prospettiva delle Speciali - è decisivo e da me sempre inseguito, ma le osservazioni proposte fanno notare un rischio evidente. Una mancata alleanza generale delle Regioni a difesa del regionalismo rischia di riportarci al vecchio refrain delle Regioni ad autonomie speciali come ingiustamente "privilegiate" e la numerosità delle Ordinarie incarognite - e già facevano spesso e sempre di più fronte comune contro le autonomie differenziate - non sarà un buon viatico. Vedremo come la pattuglia autonomista si giocherà la partita durante i voti, guidata da quel panzer sudtirolese Karl Zeller (con cui ho lavorato, quando i valdostani gli emendamenti li scrivevano e non si limitavano a firmare quelli scritti da altri...), ma certo un autonomia speciale rafforzata nel quadro di un regionalismo indebolito rischia grosso. Si vince sul breve, ma sul lungo potranno nascere problemi, specie perché la manovra statalista e centralista non penso si fermerà qui. Si è già visto come si può fingere di non toccar nulla e soffocarti lentamente con tagli finanziari e limiti di spesa. Per anni qualcuno - non io - aveva visto uno squarcio federalista, ma si è trattato di un'illusione ottica e oggi siamo in piena restaurazione - ma si peggiora persino - di un centralismo all'italiana e anche l'apparente valorizzazione delle Speciali rischia di servire solo perché, senza i senatori delle Speciali, la riforma nel suo complesso fallirebbe. Così si esprime con grande lucidità De Siervo: «una palese conferma della forte diminuzione dei poteri regionali la possiamo trovare nell'espressa soddisfazione delle Regioni ad autonomia speciale di essersi sottratte a questo processo riformistico, se non in una ipotetica futura prospettiva da loro condivisa: anche se non è sostenibile un'immediata ed automatica modificazione degli speciali Statuti di queste Regioni, sembra evidente che una profonda mutazione del nostro regionalismo non può non riguardare almeno in alcune parti tutte le Regioni, così come è avvenuto anche nel passato. Basti fare solo un esempio fra i tanti possibili: se davvero il nostro Parlamento adottasse una legge espressiva di quel "potere di supremazia" che ora si prevede (quando cioè sarebbero in gioco rilevanti interessi nazionali), è pensabile che l'efficacia di questa legge si debba fermare ai confini delle cinque Regioni speciali? Ma la stessa abolizione delle Province, che è prevista in disposizioni contenute nella parte che si vorrebbe inapplicabile alle Regioni speciali, avverrebbe solo in quindici Regioni? Tra l'altro, non disciplinare un preciso rapporto fra l'ordinamento di tutte le Regioni non solo accrescerà le polemiche e le tensioni, ma produrrà inevitabilmente molti dubbi interpretativi e quindi altri conflitti giurisdizionali. Ma soprattutto una simile scelta, tutta a favore di alcuni fra i più discussi soggetti istituzionali e politici, rischia di non rendere credibile il complessivo processo riformistico che si vorrebbe realizzare». Si potrebbero dare a queste tesi risposte puntuali, ma conta la sostanza. Insomma, le Speciali potrebbero ottenere al momento una sorta di paracadute. Ma poi, gettatisi nel vuoto e una volta tirata la cordicella, il paracadute si aprirà? Per questo bisogna continuare a credere nella forza eversiva del federalismo.