Non ho una reale conoscenza delle piante in generale e mi riprometto ogni volta di mettermi a studiare, perché mi piacerebbe non solo distinguerle a vista, ma avere anche qualche elemento in più per capire . In attesa di farlo - quei buoni propositi che di tanto in tanto ciascuno di noi fa - quando visito dei giardini mi applico nel cercare di capire qualche cosa di più. Che sia il parco del castello "Baron Gamba", dove svetta una sequoia, o uno dei giardini alpini che lasciano stupefatti, tipo "Chanousia" al Piccolo San Bernardo o "Paradisia" in Valnontey a Cogne. La scelta delle piante era una volta un complemento molto forte alle costruzioni, nel senso che la loro scelta non aveva nulla di banale o di sbrigativo, ma faceva parte di un progetto connesso all'abitazione.
Oggi vivo in una piccola porzione della cosiddetta "Villa De La Pierre" a Saint-Vincent, un tempo costruzione con un unico proprietario, Carlo De La Pierre, uno zio della mia bisnonna (ma io son qui per caso), che costruì questo villone in pietra dalla severa aria germanica. Così ne scrissero Teresa Charles ed Anna Piccirilli: "Nell'interno si possono ammirare le decorazioni in stile liberty che decorano i vani scalari e le belle tappezzerie dei saloni, ora trasformati in appartamenti. Costruzione (mille metri di superficie) di fine '800, finita forse nel 1901 perché un trave porta questa data, ricalca gli schemi usuali del razionalismo accademico del XIX secolo esposti da Durand - architetto francese - ma nella tecnica di carpenteria, nell'armatura in ferro e nella solidità dei materiali della muratura esterna sintetizza le caratteristiche dell'architettura valligiana. In particolare il rivestimento in pietra proveniente dalle cave della valle del Lys, la razionalità delle aperture, la tipica lavorazione della pietra tradiscono lo stile delle costruzioni presenti a Gaby e Gressoney da dove provenivano committente e forza lavoro. Alla rigidità della forma esterna, articolata in modo ternario con corpo centrale e due ali laterali con incrocio delle coperture che evoca schemi palladiani, corrisponde uno spazio interno variopinto. La vasta dimora padronale accoglie in particolare nel lato est, quello che fin dall'inizio fu destinato alla residenza dei proprietari, mentre l'ala restante veniva affittata alle famiglie benestanti in villeggiatura, raffinati interni, pregiate boiserie, originali architetture e soprattutto pareti e soffitti dotati di pentures et papiers collés. Si incontrano un occhieggiante Eros nella camera dell'amore incorniciato da un morbido intreccio floreale, due variopinti pavoni e poi ancora giochi di iris e glicini, il vestibolo delle "Quattro Arti", la stanza "de la dent de lion", testimonianze dello stile liberty piemontese. Un tempo quando non c'era la circonvallazione il giardino e la proprietà si estendevano a valle per uno spazio ben più ampio. La villa fu fatta costruire da Carlo De La Pierre, nativo di Gressoney, morto a Saint-Vincent nel 1937, fulminato da una polmonite, a 68 anni, discendeva dalla nobile stirpe dei De La Pierre di Gressoney. Dopo la sua morte la moglie Maria, nativa di Settimo Vittone, ragazza molto bella che era entrata nella villa dapprima in qualità di domestica, abitò la villa ancora per diciotto anni poi il declino. Si trattò infatti di un matrimonio felice, ma purtroppo non allietato dalla nascita di eredi. In seguito passò in eredità alla famiglia dei cugini baroni Beck-Peccoz. Ad un certo punto diventò una colonia estiva, poi restaurata da Riccardo Rollandin".
In effetti la casa - non tutelata - venne trasformata nel 1978 in una sorta di condominio con minialloggi e quel che è rimasto intatto è, oltre alla struttura, la vista panoramica dà sulla conca del paese e sui castelli viciniori sino ad un orizzonte composto dalla vallata centrale. L'originario viale d'accesso scende da via Ponte Romano, che prende il nome dal rudere del ponte d'epoca antica costruito per oltrepassare il torrente Cillian. Il ponte è - lo ricordo incidentalmente - una delle più importanti testimonianze dell'opera ingegneristica romana lungo la "via delle Gallie" e fu utilizzato fino al 1839 quando, l'8 giugno, lo sperone roccioso su cui poggiava la spalla destra rovinò, forse a causa di un terremoto, portando con sé l'arcata centrale, mentre un altro crollo a ponente avvenne a completamento della distruzione nel 1907. Lungo il vialone che porta al cancello ci sono - torniamo alla botanica! - dai due lati file di una pianta esotica, specie quando fu impiantata doveva essere un Valle una rarità: la catalpa, arrivata in Europa nella seconda metà del Settecento, conosciuta anche come "albero dei sigari" per i suoi frutti, strette e lunghe capsule, baccelli affusolati e persistenti sui rami per tutto l'inverno. Il nome - traggo sempre da Internet - deriva dal termine "Muscogee" (gli indiani Creek) per albero, "kutuhlpa", che significa "testa alata", venendo dall'America del Nord. E' infatti caratterizzata da una fioritura bellissima, senza contare che anche i frutti risultano davvero particolari, molto simili a dei baccelli. Le foglie, dal magnifico colore verde chiaro, sono anche molto ornamentali per la loro grandezza e forma: vengono tenute in grande considerazione per la loro capacità di fornire un'ombra gradevole, cioè uniforme ma non troppo fitta.
Una scelta che mostra come il gusto, anche attraverso le piante, scavalchi i secoli.