Capisco che non si debba esagerare e dunque invocare quel fenomeno - che ho vissuto in Lapponia - chiamato il "Sole di Mezzanotte", quando il sole non scende mai sotto l'orizzonte, e quindi non cala mai la notte. Situazione bizzarra che ha un effetto piuttosto curioso sul nostro organismo e non a caso il nostro orologio biologico va in tilt con il suo ritmo circadiano che vacilla di fronte a questa stranezza che, almeno a me, ha dato un'inquietante ebbrezza, quando sono stato lassù al circolo polare. Invece - scusate la banalità dell'argomento - mi sento di tessere l'elogio dell'ora legale, che allunga le nostre giornate estive, che proprio in questi giorni raggiungono l'apice con l'approssimarsi del solstizio d'estate.
Questa storia della luce non è banale e lo dimostra l'intrico delle diverse scienze che studiano la vita, sintetizzate da quella disciplina che si chiama "fotobiologia", che investiga su quanto banalmente ciascuno di noi percepisce su di sé l'importanza della luce come regolatrice dell'equilibro dell'organismo degli esseri viventi, sia da un punto di vista psicologico sia da quello fisiologico. Se penso a momenti belli della mia vita non posso non legarli anche alla luce che c'era: penso ad un'esperienza che tutti abbiamo fatto da ragazzini quando ci si è trovati chissà dove a vivere l'esperienza emozionante dell'alba che sorge, spesso con un primo amore e vengono in mente i versi di Giuseppe Ungaretti: «Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia. Il vero amore è una quiete accesa». Oppure lo stupore, che personalmente ho provato trovandomi di fronte ai quadri del Caravaggio, quando ti capita di ragionare - perché anche a questo serve l'Arte - sul contrasto affascinante e talvolta drammatico fra la luce e il buio. Dice Khalil Gibran: «Dalla mia oscurità nacque una luce che mi rischiarò il cammino». O ancora i giochi di luce, che ho visto - come rapito - in quei posti stranissimi che sono i cenote in Messico, queste vaste grotte con laghi di acqua dolce sotterranei - e aperture sovrastanti che li illuminano, creando effetti stupefacenti. Sono emozioni che ritrovo ogni volta che mi capita, nell'amare profondamente la Valle d'Aosta, nel classificare i luoghi e la loro varietà e molto spesso la chiave di lettura è nella luce e nella sua diversa intensità. Certo nell'alta montagna si trova un luce cristallina e intensa che ricarica chissà dove le nostre pile e ci offre spettacoli della Natura che rilasciano emozioni. Fa impressione pensare che proprio sulle montagne, dalla notte dei tempi, si festeggiano divinità le più varie, nella successione delle religioni, con roghi che illuminano la notte per festeggiare il ciclo delle stagioni e, in fondo, della vita che si perpetua. Ma lo stupore della luce, da bambino, era anche la magia delle lucciole messe in un barattolo, forse con crudeltà, ma ti davano il segno della vita pulsante anche si creature minuscole e fragili. Così come, sempre da bambino, mi affascinavano, nelle notti al mare, l'osservazione dei fari, che con puntualità ruotavano i loro fasci di luce verso il mare con un segnale rassicurante indirizzato ai naviganti (ma con i navigatori satellitari si stanno spegnendo). Ha osservato Sven Nykvist, direttore della fotografia del regista Ingmar Bergman: «La luce può essere delicata, pericolosa, onirica, nuda, viva, morta, nebbiosa, chiara, calda, scura, viola, primaverile, cadente, dritta, sensuale, limitata, velenosa, calma e morbida». Quindi, a rigore, bisognerebbe adoperare sempre il plurale "luci".