C'è bisogno di pensare e di riflettere e bisogna farlo in modo più ampio possibile e la necessità è che questo avvenga nella società valdostana e non solo nelle stanze, per non dire nei corridoi, dei decisori politici. E' questo per me un autentico tormento di questi tempi in cui mi ritrovo come in sospeso rispetto allo strano scenario politico, che sembra un quadro cubista di Picasso. La politica valdostana, in modo crescente dagli albori del regime autonomistico del dopoguerra, è stata letteralmente invasa dalla logica amministrativa. I politici eletti nell'Esecutivo - ed anzitutto il presidente della Regione, che doveva essere statutariamente un "primus inter pares", acquisendo invece poteri enormi, spesso legati al carattere di chi incarna pro tempore il ruolo - sono diventati dei superdirigenti con risultati buoni o cattivi, secondo le proprie capacità. Questo ha significato che la politica ha ruotato sempre di più attorno a piazza Deffeyes ed una poltrona in Consiglio, ma soprattutto nel Governo regionale, è diventata la priorità assoluta.
Non che me ne stupisca, perché conosco bene un sistema di cui ho fatto parte, ma personalmente ho sempre pensato che ci volesse qualche ragionevole contropotere contro il rischio di distorsioni. Il primo doveva riguardare il ruolo motore dei partiti politici, che avrebbero dovuto essere una fucina di idee che doveva essere la "seconda gamba" dell'ordinamento valdostano. Invece - basta vedere gli ultimi avvenimenti - i partiti sono giganti dai piedi d'argilla, perché sono piccoli gruppi ristretti su cui troneggiano gli eletti. E la loro debolezza deriva da un terzo fattore - una "terza gamba" del tavolo - che manca all'appello: il suffragio universale prevedeva come caposaldo della democrazia una consapevolezza dei cittadini, anche di quelli non direttamente impegnati in politica, che fosse anch'essa un contropotere nell'equilibrio istituzionale. Invece basta fare un piccolo sondaggio per verificare come la democrazia partecipata sia un sogno e troppi cittadini valdostani si sono allontanati non solo con un crescente voto di astensione, ma con una sorta di disinteresse per l'Autonomia, diventata qualcosa di distante e di utile - a torto o a ragione - per il Palazzo. La "quarta gamba" del tavolo è il vecchio sistema della democrazia con pesi e contrappesi. Due esempi classici: un Legislativo che sa contrapporsi all'Esecutivo e non è un soggetto passivo e si sa che il "parlamentarismo alla valdostana" vede un peso assolutamente prevalente del ruolo governativo rispetto al Consiglio Valle, per non dire del ruolo della Magistratura che dovrebbe vigilare affinché i confini della legalità siano sempre rispettati. Insomma il sistema è "bloccato" da tempo e la sfiducia diventa crescente, così il corpo dell'Autonomia rischia non solo una paralisi, ma addirittura un rigetto da parte di gran parte dei cittadini, cui mancano ormai elementi di base per comprenderne le ragioni e dunque porsi in quella posizione di difesa del regime di autogoverno costruito negli ultimi sessant'anni. Questo è grave specie se, come prima o poi dovrà capitare, la Valle d'Aosta nel senso più largo del termine dovrà porsi con coscienza di fronte alla necessità di capire quale Statuto regolerà in futuro la propria democrazia interna ed i rapporti con Roma e Bruxelles, che sono oggi i punti di riferimento per una trattativa politica che rinnovi in profondità i diritti e doveri costituzionali di una comunità come la nostra. Scriveva Norberto Bobbio nel 1958 - anno della mia nascita! - in un brano che si rivela oggi del tutto profetico: «Come regime politico la democrazia moderna è fondata sul riconoscimento e la garanzia della libertà sotto tre aspetti fondamentali: la libertà civile, la libertà politica e la libertà sociale. Per libertà civile s'intende la facoltà, attribuita ad ogni cittadino, di fare scelte personali senza ingerenza da parte dei pubblici poteri, in quei campi della vita spirituale ed economica, entro i quali si spiega, si esprime, si rafforza la personalità di ciascuno. Attraverso la libertà politica, che è il diritto di partecipare direttamente o indirettamente alla formazione delle leggi, viene riconosciuto al cittadino il potere di contribuire alle scelte politiche che determinano l'orientamento del governo, e di discutere e magari di modificare le scelte politiche fatte da altri, in modo che il potere politico perda il carattere odioso di oppressione dall'alto. Inoltre, oggi siamo convinti che libertà civile e libertà politica siano nomi vani qualora non vengano integrate dalla libertà sociale, che sola può dare al cittadino un potere effettivo e non solo astratto o formale, e gli consente di soddisfare i propri bisogni fondamentali e di sviluppare le proprie capacità naturali». Aggiungeva più avanti: «Una democrazia ha bisogno, certo, di istituzioni adatte, ma non vive se queste istituzioni non sono alimentate da saldi principi. Là dove i principi che hanno ispirato le istituzioni perdono vigore negli animi, anche le istituzioni decadono, diventano, prima, vuoti scheletri, e rischiano poi al primo urto di finire in polvere».