Quando si pensa all'aggettivo "maturo" viene in mente la definizione del frutto che ha acquisito le qualità per poter essere mangiato oppure, in seconda battuta, all'età adulta - la "maturità" - che si situa fra giovinezza e vecchiaia. Come origine, e ciò vale per tante parole, è latina ma di matrice indoeuropea: "matūrus" è un antico participio futuro da un verbo "māre", col significato di "che diventerà buono", appartenente alla famiglia di "Matūta - dea buona", che generalmente è considerata la dea del mattino, protettrice della nascita degli uomini e delle cose. Ma se usiamo il maiuscola "Maturità" la questione assume una diversa connotazione e scatta, per i tanti di noi che l'hanno fatta, l'insieme di ricordi e talvolta degli incubi ad essa connessa.
Si tratta, infatti, del nome che ancora comunemente viene dato all'esame che conclude le scuole superiori o meglio il secondo ciclo dell'istruzione secondario, modificatosi nel tempo nelle sue modalità di svolgimento rispetto all'origine che risale alla "riforma Gentile" del 1923. Per la precisione oggi si chiama "Esame di Stato conclusivo", ma per tutti resta "Maturità", denominazione che per altro è usata in molti altri Paesi europei. Parecchi studenti valdostani sostengono anche l'equivalente francese, il "baccalauréat" (de l'altération du bas-latin "bachalariatus", désignant un chevalier débutant, puis calqué à partir du latin bacca ("baie, olive, arbre à baies") et laureatus "couvert de laurier", "orné de laurier", "couronné de laurier" d'où "triomphant"), sintetizzato - come piace fare in Francia - in "bac" ("passer le bac..."). Insomma: la "Matura" è un rito di passaggio (espressione che si deve agli studi dell'antropologo francese, Arnold Van Gennep) verso l'età adulta e, finito l'altro rito solo maschile della visita di leva e del servizio militare, resta l'unico passaggio di iniziazione "statale" che è rimasto. Quando mi rivedo con i miei compagni di Liceo, l'esame topico per eccellenza torna a galla in quel clima straordinario che si ricrea, con aneddoti spesso impolverati dal tempo nella memoria, fra persone che hanno condiviso momenti importanti che ci fanno compagnia ancora oggi nel ricordo, perché fanno parte della nostra formazione sentimentale prima ancora che scolastica. In queste ore i maturandi si affannano, in vista dello scritto di italiano (un tempo definito "tema"), nella ricerca delle tracce: antica consuetudine che una volta faceva bollire le rete telefonica, mentre oggi fa impazzire il Web. Si tratta come sempre di scrutare avvenimenti, anniversari e altri possibili indizi, sperando di azzeccare il filone giusto (io penso che qualcosa su Umberto Eco uscirà). Quest'anno a fare la Maturità ci sarà anche mia figlia Eugénie, segno mesto per me del tempo che passa sempre troppo in fretta, ma per lei, che è sognante e concreta in un mix che la rende tenera ma solida (pugno di ferro in guanto di velluto), è un affacciarsi verso nuove occasioni della vita e questo per ogni padre è un elemento misto fra tenerezza e speranza. So bene che la Maturità, pur restando un passaggio che si vive con apprensione, nella vita è un unicum significativo ma non sempre determinante e lo insegna l'esperienza di "maturi" brillantissimi persisi poi per strada. Comunque sia nelle tappe della propria esistenza questo esame così temuto resta una pietra miliare, legata per altro in modo insolubile alla propria giovinezza che si rimpiange sempre da adulti, ed è anche una cimento che chiude un ciclo e, come molti obblighi, finisce per avere un suo perché.