Ci vorrebbe la penna di un poeta per capire che cosa fosse, per un ragazzo della mia generazione, il senso di libertà dato dalla moto e dalla possibilità di scorrazzarci. Penso ad un Arthur Rimbaud che così raccontava una sensazione di un passato agreste estivo in "Sensation": «Par les soirs bleus d'été, j'irai dans les sentiers, Picoté par les blés, fouler l'herbe menue, Rêveur, j'en sentirai la fraîcheur à mes pieds. Je laisserai le vent baigner ma tête nue. Je ne parlerai pas, je ne penserai rien: Mais l'amour infini me montera dans l'âme, Et j'irai loin, bien loin, comme un bohémien, Par la Nature, heureux comme avec une femme».
Che non appaia maschilista questo’ultimo riferimento, che è ovviamente una tenera verità in barba al politicamente corretto. Ma torniamo al punto: oggi pare che i giovanissimi - l'ho visto con i miei figli - siano meno desiderosi di avere il "motorino" (a quattordici anni) e poi la moto "125" (a sedici anni), perché ogni epoca ha le sue priorità. Per me - l'estate del 1973 (moto "Beta") e del 1975 ("Vespa") - furono, invece, l'ebbrezza di andare e venire, spesso in percorsi assurdi (in Camargue con il motorino, in Calabria con la "Vespa"), ma soprattutto con il gusto di muoversi come espressione di esserci. Oltretutto - anche questa è politicamente scorretta - senza il casco in testa e dunque con l'impagabile vento nei capelli, che appaia chiaro a chi oggi non può provarlo per non infrangere il codice della strada, è davvero fantastico. L'altro giorno, inforcata la stessa "Vespa", ho fatto duecento metri "vecchio ordinamento" prima di accorgermi che avessi dimenticato di mettermelo questo maledetto casco, come in un inconscio gesto di liberazione, anche se so bene - avendone parlato all'epoca della legge universale sul casco alla Camera - che molte vite sono state salvate da questa protezione. Oggi, quando vedo gruppi di "bikers" fieramente al maschile (qualche donna c'è ma rara e, in molti casi, seduta dietro come uno zainetto), mi vien da sorridere e non solo perché alcuni sgasano sfiorando il ridicolo (e prendendo troppi rischi) con esibizione di testosterone e trovo anche interessante - perché ci si identifica davvero come gruppo - questa idea del saluto reciproco, che in certe domeniche sulle strade della Valle d'Aosta affollate di motociclisti penso diventi un «ciao ciao» continuo "on the road". Io mi intenerisco pensando, invece, a quelle grandi comitive miste, da scampagnata tutti assieme, con motorini (le ragazze prevalentemente in "Ciao") e moto (che bello quando avevi la tua fidanzatina avvinta sul sellino "Gaman"), che si aggiravano per puro divertimento, facendo banda. Oggi non li vedo più questi gruppi zingareschi, colorati e gioiosi, che erano certo meglio di pensare che il mondo possa finire - come liofilizzato - nello scambio compulsivo di certe chat sui "social", perché il mondo vero ed il rapporto in carne ed ossa è meglio di qualunque surrogato di realtà diventato virtuale e dunque privo della necessaria mobilità. Ma forse alla fine è solo pericolosa nostalgia ed è giusto, invece, che ogni giovinezza abbia una sua storia da raccontare e una vita da vivere, per cui non c'è qualcosa meglio di un altro. Sono gli occhiali del tempo, che colorano di rosa quanto è legato a quando si era ragazzi. In fondo è lo stesso rischio di borbottio che ascoltavo dai nonni e dai miei genitori, ognuno dei quali si trovava ad essere "laudator temporis acti", celebre espressione latina di Orazio ("Ars poetica", 173), che attribuisce questa qualità agli anziani, considerandola, insieme con altre, uno dei tanti malanni da cui è afflitta l'età senile; in realtà l'espressione completa è "laudator temporis acti se puero" ("lodatore del tempo passato, quando egli era fanciullo"). Perciò bisogna essere tolleranti e sorridenti verso questo vizio legato al passare del tempo, sapendo che si tratta di una sorta di trappola in cui chiunque di noi rischia di cadere e basta aspettare che ciò avvenga. Ma la nostalgia - ci pensavo di questi tempi in cui mi sento un naufrago della politica - può assumere un valore importante anche come motore per il futuro. Lo dimostra la celebre frase di Antoine de Saint-Exupéry: «Si tu veux construire un bateau, ne rassemble pas des hommes pour aller chercher du bois, préparer des outils, répartir les tâches, alléger le travail mais enseigne aux gens la nostalgie de l'infini de la mer».