Immagino che la percezione generale sia quella di non poterne più e di chiedersi come e quando si troveranno misure davvero adatte per contrastare un fenomeno fattosi globale e che pesa sul nostro futuro, come se già un cumulo di altre difficoltà non rendesse il domani pieno di comprensibili preoccupazioni. Ma intanto il quadro è chiaro nella sua desolazione: ogni giorno ormai, alternandosi in diversi luoghi sul mappamondo in una casuale roulette russa, gli estremisti islamici - che siano gruppi organizzati o lupi solitari - colpiscono con odio e violenza, accentuando in modo crescente un senso di impotenza e di insicurezza in ciascuno di noi, vittima potenziale di chi ci vuole morto perché ci considera "carne da cannone" per azioni che hanno un solo scopo: la morte di chi non la pensa come loro.
Dopo gli orrori di Istanbul, ora a ruota arrivano questa mattina, dopo una notte di attesa di un intervento armato delle teste di cuoio, le notizie e le immagini terribili da Dacca in Bangladesh, dove risultano coinvolti degli italiani (si parla di dieci morti). Il copione è quello noto e difficile da affrontare: persone armate fino ai denti agiscono con lo solo scopo di fare più morti possibili, cercando loro stessi la morte in un suicidio che dovrebbe essere persino gioioso, perché l'indottrinamento religioso li trasforma in robot senza coscienza, alla ricerca - maledetti! - di una porta per il paradiso. E poco consola pensare che si tratta di un'evidente forma di follia, frutto del degrado del pensiero umano e ultima spiaggia di ideologie che fanno ribrezzo. Diceva Bertrand Russell: «Il problema dell'umanità è che gli sciocchi e i fanatici sono estremamente sicuri di loro stessi, mentre le persone più sagge sono piene di dubbi». Capisco che ogni strage ferisca la nostra umanità, ma è normale che in questo stillicidio di sangue e paura ciascuno di noi finisca per usare allarmi che segnano il grado di coinvolgimento emotivo, fatto da prossimità geografica e culturale dei luoghi e delle persone colpite. Ma alla fine contano due aspetti. Il primo è che il bilancio complessivo di vittime di questo fondamentalismo religioso è sempre più alto. Il secondo è che nessuno può dirsi - e questo rientra nella strategia dei terroristi - al riparo da i rischi di finirci in mezzo. Questo mix di dramma e terrore sta restringendo i nostri spazi di libertà. Scorrete mentalmente quanti sono i Paesi dove escludete di andare o i posti dove andreste con preoccupazione e il gioco è fatto: in questo momento gli islamisti ci stanno mettendo in scacco, agendo sulla vita di ciascuno di noi, come se non bastassero già le incognite della vita quotidiana. E questo avviene - evidente paradosso - mentre flussi crescenti di musulmani in fuga dai loro Paesi d'origine si riversano verso l'Occidente - in prima fila c'è l'Italia per la sua posizione geografica nel Mediterraneo - dove l'accoglienza viene garantita e cresce la difficoltà di avere meccanismi rapidi che distinguano gli aventi diritto - e ci sono elementi sacrosanti che devono consentire l'asilo - da chi invece non ne ha le caratteristiche. Questione non banale visto che, mischiati con questo movimento dolente ormai di massa, si celano - come dicono i servizi segreti - personaggi che arrivano apposta per portare morte e distruzione nel nome del loro dio. Sul fanatismo religioso, che ha ammorbato anche il cristianesimo, ha scritto non a caso e con coscienza dei fatti, Voltaire e questi pensieri settecenteschi sono esemplari: «le fanatisme est à la superstition ce que le transport est à la fièvre, ce que la rage est à la colère. Celui qui a des extases, des visions, qui prend des songes pour des réalités, et ses imaginations pour des prophéties, est un fanatique novice qui donne de grandes espérances; il pourra bientôt tuer pour l’amour de Dieu». Questo è il meccanismo da spezzare: il proselitismo che porta alla situazione attuale, ma questa strada si incrocia con la necessità intanto di combattere con decisione questa deriva della Ragione, sapendo - perché anche la nostra religione ha generato mostruosità nei secoli passati - che in prospettiva gli antidoti esistono, ma intanto la casa brucia e va spento l'incendio.