Sarebbe interessante poter avere qualche ricerca seria, ma immagino costosissima, su questa storia di un mondo sempre complicato per viaggiare e le sue conseguenze dirette su località considerate non a rischio come le Valle d'Aosta, che sia su soggiorni veri e propri con pernottamenti o nelle trasferte in giornata dalle grandi città. So bene, per esperienza, di come il Turismo - materia in cui si incrociano in modo interdisciplinare tante materie - non sia una scienza esatta, perché le componenti, specie previsionali, sono talmente cangianti da rendere difficili analisi puntuali. Per altro, come spesso mi è capitato di dire, gli indicatori tradizionali - fatti sui dati rilevati nelle strutture d'accoglienza - sono leggerini per avere certezze, anche se qualche indicazione di massima la danno.
Per cui, alla fine, nel pensare a questo fenomeno di un ritorno del "turismo di vicinanza" e ritenuto non allarmante lo si può esaminare solo con valutazioni prevalentemente soggettive e guardandosi in giro nei comportamenti della cerchia più o meno distante di cui abbiamo consapevolezza. D'altra parte pensate per un attimo a località "out" nel vostro stesso pensiero. Qualche esempio: le grandi città, europee o no, possono essere - specie nei centri di attrazione più noti - come una carta moschicida per eventuali attentatori. Lo stesso vale per interi paesi del nord Africa o ad una destinazione ottima nel rapporto prezzo-qualità, quale era il Mar Rosso. Del Medio Oriente non si parla e pure un Paese di mezzo come la Turchia va obbligatoriamente scartato, ma sono molte destinazioni asiatiche - e non solo per l'estremismo religioso - sono da scartare. Quando sono stato, di recente, ai Caraibi non nascondo la paura per la "Zika", che avvolge anche parte dell'America del Sud, dove alcuni Paesi - come il Venezuela - sono sconsigliabili per i problemi interni. L'elenco potrebbe continuare a lungo e devo dire che per la mia generazione - forse la prima che ha visto l'uso dell'aereo come fenomeno di massa e pure una crescente libertà alle frontiere - si trova oggi gravemente colpita da questo restringimento di spazi di libertà sinora in espansione, pur con periodici bubboni di crisi, ma piuttosto governabili. Questo spinge quel turismo in località che erano state sorpassate dalla globalizzazione turistica e oggi bisogna prenderne intelligentemente atto in una politica turistica che, senza inseguire flussi turistici così remoti da apparire irrealistici, devono sondare quei flussi di maggior vicinato, considerando sempre che anche una scelta che può essere considerata di ripiego da parte di un turista può offrire spazi straordinari di fidelizzazione. E questo per le Alpi è una grande chance per rimontare la china di un turismo estivo declinante e di un turismo invernale che rischia di avere nello sci in difficoltà una monocultura rischiosa, pensando anche al cambiamento climatico. Peccato che, anche nel momento in cui pare lanciata la strategia per la Macroregione Alpina, si sia ancora troppo in una visione convegnistica o inseguendo sogni di fondi comunitari che alla fine resteranno quelli che già conoscevamo (pure con meno fondi nazionali). Il confronto fra le Regioni dell'Arco alpino varrebbe proprio per dare alla vasta area cui apparteniamo delle vocazioni condivise che, senza il venir meno del sale della concorrenza, offrano opportunità per tutti in una logica redistributiva utile per l'insieme delle comunità alpine. Utopia? Non credo: ogni volta che mi è capitato, con molta praticità, di discutere di queste cose ho trovato molto più buonsenso che spinte egoistiche, perché da una crescita complessiva tutti ne avrebbero da guadagnare.