E' come se fossimo diventati dei pistoleri della fotografia. Abbiamo tutti il nostro telefonino a portata di mano (in certe occasioni - lo confesso pubblicamente - ho pure il bastone da "selfie" regalatomi a Natale) e siamo pronti a mettere mano non al revolver ma allo scatto con foto a raffica da tenere sino a necessità di cancellazione per non saturare la memoria e le migliori vengono pubblicate, a seconda dei "social" preferiti. E' una passione che può sfociare in "mania" con il gusto, se la connessione assiste, del tempo reale della pubblicazione. Distinguere tra "pubblico" e "privato" diventa un'impresa e c'è chi vive ormai la propria vita in un confine "borderline" fra reale e virtuale, spesso con la considerazione che la vita da "social" diventa persino più allettante e più glamour dell'esistenza in carne ed ossa.
Scriveva sulla "Treccani", anni fa, Sabina Minardi, rispetto a quel fenomeno "Instagram", che resta fenomeno impressionante: «Protagonista, e disponibile a proiettarsi su un palcoscenico globale all'insegna di immediatezza e informalità, è gente comune, contagiata dalle possibilità del fotoritocco, tra pose ammiccanti e segmenti di corpo in primo piano. Masse umane che si scoprono patite dell'autoritratto, e che si sfidano su temi diversi, davanti all'obiettivo: specchio che enfatizza piaceri, vezzi, abitudini. Come quella dei fotoreporter gourmet: forchetta in mano di fronte ad una pietanza, un attimo prima di mangiarla. Una mania alla quale non resiste nessuno: dagli idoli della musica ai personaggi politici. Esibizionismi planetari che mischiano marketing e vanità: da Michelle Obama, stretta al marito o davanti a un piatto ipersalutista, alla first lady siriana Asma al-Assad, sommersa dalle critiche da quando, in piena barbarie, ha inaugurato il suo account per dare un'immagine positiva di sé e del coniuge Bashar». L'evoluzione della fotografia fa impressione: se penso alla mia infanzia ricordo le prime "Kodak" con foto a colori delle elementari (che ad un certo punto in fase di stampa proponevano appaiate un'immagine più grande ed una minuscola, come segno della modernità), ma da adolescente la cosa più divertente era rubare la "Polaroid" paterna ed esibirsi alle feste in quell'autentica magia dello scatto con successiva visione, pressoché immediata, della fotografia. Un aggeggio con cui si spopolava. Nell'estate del 1975 lavorai da un fotografo e ritiravo i rullini da stampare (ricordo una volta scatti pornografici restituiti con lettera dell'azienda di censura al cliente che ci aveva provato) e facevo le fototessere in bianco e nero, correggendo con una matita grassa i negativi come un antesignano del "Photoshop" odierno che permette dei taroccamenti delle foto ben visibili su certe riviste di moda patinate. Rosolino Mangiapan, titolare del negozio, vendeva anche - non so bene con quali importazioni parallele - costosissime macchine fotografiche e quindi, grazie ad una discreta macchina fotografica di uno zio, mi misi a studiare il funzionamento di queste apparecchiature sofisticate. All'epoca a creare una vaga angoscia, essendo i sistemi meccanici, erano soprattutto i misteriosi tempi di esposizione. Poi, timidamente, rispetto ai primi telefonini, che - udite udite - servivano solo a telefonare, sono apparsi questo nostri smartphone che sono la versione elettronica dei coltellini svizzeri multiuso: la parte fotografica e video si sta facendo sempre più sofisticata e lo stesso vale per le "App" che servono a lavorare le immagini e ci si può sbizzarrire con autoritratti di vario genere e le immagini scattate possono essere sofisticate in vario modo. Naturalmente l'aspetto grottesco della fotomania di massa sta nella mancata corrispondenza fra la numerosità delle foto scattate e quelle realmente utili. Vedi in vacanza, in diverse situazioni, che c'è chi scatta immagini a raffica e ti immagini che - a parte quanto messo in Rete o proposto, immagino, nelle terribili serate di visione delle foto con amici messi in croce - la gran massa di questo "girato" resterà lì inutilizzato e destinato a morte certa con l'evoluzione tecnologica. La stessa che ha spento pellicole mai riversate in elettronico o immagini elettroniche su vecchi supporti magnetici mai digitalizzate. E' un mondo che scompare e spesso si tratta non di una benedizione ma di una maledizione: penso al valore documentale di tanti filmini in "8" o in "Super8" ereditati da chi non ha consapevolezza esatta di che cosa ha fra le mani. Destino per altro di tutti i documenti che passano di mano dagli uni agli altri. Passerà? Tutto passa e si aggiorna: vedremo le prossime puntate dell'evoluzione tecnica che si riflette sui costumi.