Politica, brutta passione, che se sommata ad un senso di autoironia che si fa strada sempre di più in me - relativizzando bagliori di eccesso di considerazione di sé - ha sortito una boutade così descrivibile: la fotografia postata su "Twitter" di una bella porchetta rosolata. Ma non c'è un mistero da risolvere dietro al "patto della porchetta", appunto dal povero suino che sopra Issogne è stato immolato una settimana fa in un pranzo con persone di diversa estrazione politica (non solo ex UVP), che si sono incontrate in un clima più conviviale che politico. La politica verrà, perché le cose vanno fatte con razionalità e senza isterismi, sapendo che "l'estate porta consiglio" (e non mi riferisco ai posti di comando in... Consiglio Valle). Niente di meglio di questo periodo per pensare e per confrontarsi sul quadro politico esistente o meglio - lo scrivo senza presunzione, ma conscio che va fatto - sul futuro della Valle d'Aosta.
Esiste un'area politica autonomista, con le sue dispersioni, che naturalmente si muove e si evolve. Abbiamo appena assistito ad una fase di "réunion" sotto l'egida del presidente Augusto Rollandin, che ha abilmente ricondotto all'ovile una parte dell'Union Valdôtaine Progressiste e chissà poi cosa avverrà in vista delle elezioni del 2018 e cioè vai a sapere se si arriverà ad una loro piena "réunification" sempre sotto la stessa abile regia di chi comanda con pugno di ferro. Questo vuol dire che, compresa la forte realtà di Alpe, esiste oggi un mondo "antisistema" (il "rollandinismo" come politica che si ramifica nell'economia e nella società) che è ben solido, cui si accompagna la massa di delusi di vario genere che hanno scelto di non partecipare più al voto: un astensionismo sempre crescente che colpisce al cuore il sistema di democrazia rappresentativa. Come aggregare ancora di più senza nulla togliere ai meriti di chi si muove da tempo su questa direttrice? Come conciliare la fine dei partiti tradizionali con una società "liquida" che prevede formule nuove nell'aggregazione politica? Quale contenuto culturale e formativo dare alla partecipazione politica, specie verso i giovani, abbandonati in una sorta di limbo? Come conciliare la necessità della leadership in politica con formule rapide di decisione e di intervento ma frutto di discussioni? Come evitare che la politica sia "storytelling", cioè racconti e promesse, anche sui "social", mentre quel che conta è l'azione concreta? Come evitare che gli eletti, che fanno quello di lavoro nel corso del loro mandato, finiscano per schiacciare le rappresentanze dei loro partiti e movimenti? Come ritrovare quel "fil rouge" di collaborazione con gli altri popoli minoritari di Europa e nel contempo fare del federalismo non uno slogan ma una realtà fattuale nel lavoro quotidiano? Sono interrogativi che fanno tremare i polsi in un periodo, oltretutto, per nulla banale: cresce l'incomprensione verso le Speciali e noi non abbiamo la forza di contrattazione dei sudtirolesi e neppure dei trentini, ma persino del Friuli-Venezia Giulia. La riforma costituzionale apre ad un'intesa per una riforma degli Statuti, ma il mio "no" resta deciso perché il quadro - giuridico, politico e giornalistico - in cui avverrebbe la riscrittura della nostra Carta fondamentale resta gravemente negativo ed ogni volo pindarico ci porterebbe a esiti - temo - davvero disastrosi. Ci può salvare solo la capacità di essere credibili e spezzare la cappa di piombo che sta spegnendo molte intelligenze, compreso un fenomeno di emigrazione di giovani talenti dalla Valle di proporzioni meritevoli di una riflessione seria, così come la grave tendenza demografica rischia di fare della Valle un Paesi di vecchi. Lavorarci sopra "con chi ci sta" e non vuole stare alla Corte nei ruoli più vari, può essere - senza alzare steccati - una bella occasione. Da un seme può nascere una pianta.