Non bisogna mai piangere sul latte versato, ma questo non significa affatto non avere buona memoria. Perché non prendersela troppo è un saggio insegnamento, mentre l'oblio (come la memoria del pesce rosso che dura non più di cinque secondi) è una stupidaggine, perché c'è sempre chi approfitta di riabilitazioni, prescrizioni e amnistie. Mi riferisco all'ormai ineluttabile raddoppio dei trail valdostani di maggior prestigio: il nuovo di zecca - voluto dal Governo regionale - "4K Alpine endurance Valle d'Aosta", in partenza sabato prossimo da Cogne e l'ormai classico "Tor des Géants" - a gestione privata - che partirà da Courmayeur l'11 settembre. Una specie di trenino che lascia stupito chi dall'esterno guarda alle beghe valdostane, che naturalmente mangiucchiano ogni volta la credibilità un tempo caratteristica di un rude popolo di montagna. Ma idee e metodi ormai sembrano di diversa latitudine, più da America del Sud che da Occidente pieno.
Un doppione? Pur nelle differenze esistenti la mia risposta è positiva: si tratta di un doppione, perché nato dalla volontà regionale di fare una gara sola, ma poi si è dovuto tener conto delle sentenze - in verità talvolta "ponziopilatesche" - della Magistratura. Non a caso c'è stato qualche campione che - della serie "chi la fa l'aspetti" - non parteciperà a nessuna delle due gare. Immagino che, comunque vada, si dirà che è stato tutto meraviglioso per entrambi e che nessuno ha pestato i piedi all'altro, anche se in verità tutto è basato più sull'odio che sull'amore, ma le facce saranno tutte sorridenti, come richiesto dal copione. Che lo sport sia costellato di percorsi poco edificanti lo si vede dai problemi che ammorbano le Olimpiadi, che dovrebbero essere l'espressione più nobile e solida eticamente, quando invece fra doping ed affari vari c'è da strapparsi i capelli. D'altra parte i trail sono una moda: si moltiplicano come i funghi un po' dappertutto e quando una località montana deve pensare a che cosa fare di nuovo sul proprio territorio immagina una bella gara di questo genere, contando sulla fame - talvolta bulimica - dei molti praticanti che non vedono l'ora di mettersi alla prova e fare il pieno di adrenalina di uno sport che diventa - e che nessuno si offenda - una specie di ossessione. Lo dico per semplice invidia: a me l'idea di correre in montagna, sempre che non sia anche un'occasione per farsi propaganda elettorale come faceva Benito Mussolini vestito da sciatore al Terminillo od a torso nudo con la falce per la "battaglia del grano", fa davvero impressione, poiché sono parte della generazione che già con il passo cadenzato, di fronte a certi dislivelli, ha il fiatone solo a pensarci. Per cui alla montagna di corsa - e non solo perché devo prendere atto dei miei limiti fisiologici - preferisco una montagna più meditativa e d'osservazione dei luoghi. Lo dico senza snobismo, rispettando chi fila come un razzo e con stupore di fronte a sforzi sovrumani che rischiano poi di lasciare il segno in futuro, ma con la consapevolezza che si tratta sempre di una nicchia, oggi molto corposa, ma se si guarda ad un certo turismo familiare, i ritmi da imprimere sono ben diversi, tenendo anche conto dell'invecchiamento progressivo della popolazione. Queste, però, sono strategie di marketing, per chi lo applica e lo studia, non seguendo i propri istinti o le proprie crisi di nervi. Comunque un "in bocca al lupo" ai corridori tra montagna e cielo, anzitutto ai campionissimi che sembrano davvero stambecchi che si inerpicano, ma una pacca sulle spalle anche a quelli che stanno molto indietro e che, per onor di firma, soffiano e sgobbano nelle retrovie, ma è questa gran massa faticante che fa grandi certe manifestazioni.