Ha scritto l'intellettuale americana Susan Sontag: «La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno della salute e in quello della malattie. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell'altro Paese». Mi è capitato di doverci riflettere nei mesi scorsi di fronte a dei malanni, per fortuna non gravi, che mi hanno costretto ad entrare in contatto con il "regno della malattia", che per altro se non ti colpisce di persona è un mondo con la porta sempre aperta per via di parenti e amici che ne subiscono le conseguenze.
Quando si gira per analisi o per cure, si piomba ancor di più in questa osservazione di un mondo parallelo a quello ordinario e così - nell'assoluta banalità dei commenti - capita spesso di ritrovarsi a metterci nei panni altrui, per chi si trova ad affrontare guai seri o a piangere persone scomparse. Invecchiando, per ovvie ragioni, si ha un occhio in più rispetto agli eventi che ti circondando: ho sempre preso in giro chi faceva dell'aneddotica sulle malattie altrui e chi si dimostrava uno specialista dei necrologi, dando con regolarità un'occhiata ai muri dove sono affissi. Ora - maledizione! - mi trovo anch'io a commentare vicende tragiche ed a gettare uno sguardo sull'età di chi, suo malgrado, è finito nei manifesti listati a lutto e mi fanno particolarmente impressione quelli con le fotografie, spesso scelte dai parenti senza alcun riguardo. Rifletto sulla malattia, guardando ai fatti americani con due settantenni in corsa per la Casa Bianca e dunque l'assillo per la condizione fisica - un vero rovello da sempre negli States - diventa ancora più importante e sono mesi che Donald Trump, incredibile candidato repubblicano, soffia sul fuoco delle malattie della propria avversaria democratica, Hillary Clinton. E per lui, come il cacio sui maccheroni in una lotta politica per le "Presidenziali" che prevede anche l'uso di colpi bassi, c'è stato ieri il malessere della sua avversaria, che ha acceso i fari sulle sue reali condizioni fisiche. L'etica politica prevede negli Stati Uniti, per una mescolanza di morale religiosa e senso civico, che non si debbano mai dire bugie. Cosa impensabile in Italia, dove un sacco di "Pinocchi" si aggirano nell'agone politico e viene talvolta il dubbio che saper mentire sia considerato una dote e non un difetto. Anche nella piccola Valle d'Aosta pare che questo avvenga e non sia solo frutto di smemoratezza, ma della considerazione - che lascia stupefatti - che una certa furbizia e doppiezza siano elementi senza i quali chi fa politica va considerato un cretino o - come si dice in piemontese ma anche in lombardo - un "ciula". Ovviamente non condivido, mentre sicuramente una buona condizione di salute ha in politica una sua valenza. Lo è perché per chi faccia attività politica a certi livelli, cioè professionali nel periodo in cui esercita un proprio mandato, star bene è la condizione necessaria per poter girare come una trottola, come avviene usualmente ed in condizioni di stress non da ridere. So che in generale la classe politica viene accusata di "fancazzismo dorato", ma chi ha frequentato diverse Assemblee parlamentari e ha avuto qualche ruolo di responsabilità, sa che certe dicerie sono davvero qualunquismo. Poi, per carità, è strapieno di lavori ancora più faticosi e usuranti e peggio pagati, ma far di ogni erba un fascio sui politici parassiti non è corrispondente alla realtà. La buona salute, se significa anche una vita più lunga, offre al politico anche l'ultima parola su certe vicende da lui conosciute e l'avversario di certe circostanze, se morto e sepolto, non è in grado di certo di replicare. Lo dimostra una recente vicenda francese dove un tizio ha tirato in ballo il brillante esponente socialista Michel Rocard, con cui avevo un rapporto amichevole, ma con la circostanza che Rocard è morto qualche giorno prima di queste "rivelazioni" e dunque non avrà la possibilità di ribattere. Quel che è capitato, più in piccolo, a mio zio Severino Caveri ogni tanto tirato in ballo da qualcuno in vita che scrive dopo la sua morte con il rischio che certe baggianate diventino fatti storici. Star bene, insomma, è una fortuna, che uno può anche andare solo in parte a cercarsi facendo attenzione, e pure in politica in qualche modo conta. Ho conosciuto grandi vecchi della politica in Italia, in Europa e anche in Valle - penso al mio amico César Dujany, classe 1920 - che finiscono per essere non solo fortunati, se stanno bene, ma anche straordinarie enciclopedie viventi di fatti e circostanze.