Ci sono temi tabù di cui si parla e non si parla, cincischiando tra il "detto" e il "non detto" e magari si preferisce la convegnistica al confronto politico per evitare dispute che invece servono per crescere contro ogni logica di immobilismo e conformismo, tanto per seguire la tentazione di fare le cose perché si sono sempre fatte così. Atteggiamento che mi fa imbestialire, perché la vita non è un pezzo da museo e mai - nel nome della difesa dello status quo - si può accettare di umiliare quella parte dinamica e duttile dell'Autonomia speciale, che se si sclerotizza è purtroppo destinata a diventare marciume come le foglie morte d'autunno.
Così parlare del francese in Valle d'Aosta - del suo uso, diffusione e ruolo - comporta sempre il rischio di finire in discussioni ideologiche e sarà che con il tempo preferisco approcci pragmatici a grandi costruzioni retoriche, per cui alla fine sarebbe bene che si evitassero opposti estremismi e si ragionasse su quanto di utile ci sia in questa eredità storica. Il campionario delle posizioni resta vario: dal patoisant che dice che la vera lingua è il francoprovenzale a chi nega ormai ogni radicamento della lingua considerandola una panzana, da chi sostiene inglese inglese inglese a chi combatte lotte personali per il mantenimento di una lingua dei valdostani per secoli. Sono ritrattini minuti, ma potremmo fare un album in cui ogni incaselli le sue esperienza personali, quelle familiari e quelle scolastiche. Poi naturalmente c'è uno Statuto in vigore che statuirebbe un bilinguismo perfetto, che di fatto ha creato una situazione ambigua, perché quando norme e realtà non si allineano si lasciano spazi vuoti. Io del francese - ma lo dico senza voler imporre certezze - apprezzo tre cose. La prima: il francese è indubitabilmente un elemento della Storia, che fa parte di quei caratteri originali frutto degli avvenimenti del passato ed il francese serve per capire certe vicende in lingua originale e non con traduzioni che possano far perdere spirito ed animo. Insomma: chi cerca le radici trova il francese e non si può negare l'evidenza. La seconda: la francofonia è una chance in più per leggere il mondo (compresa l'Unione europea con le Istituzioni a Bruxelles e Strasburgo!), visto che resta una lingua importante e garantisce una rete di contatti che altri non hanno ed è dunque un vantaggio, che non impedisce l'apprendimento di altre lingue, visto la forza nell'essere poliglotti. Penso all'originalità di un'Università valdostana che segua questa strada, occupando uno spazio originale, che segua poi un filone che appare attrattivo anche per studenti esterni. La terza: la francofonia è indispensabile per i contatti culturali ed economici con le zone francesi e svizzere confinanti: l'interscambio è una realtà di prossimità e non è una fandonia a difesa di chissà che cosa. Ci riflettevo in due occasioni: sono andato per vedere un cucina in un grosso mobilificio valdostano e con me nella fila di uffici c'erano tanti clienti provenienti dalla vicina Svizzera per acquisti di mobili e questa rete di business - che valorizza la lingua - riguarda anche clienti francesi. Questo uso si lega ad una prossimità geografica che è foriera di affari per le imprese. Come non riflettere poi sulla grande festa popolare delle reines du Mont-Blanc, con lingua ufficiale il francese, in un momento ludico di grande coesione umana e... bovina. E' quel che ho vissuto in un clima più per addetti ai lavori in decine di incontri con le autorità politiche e amministrative della vicina area francofona, in cui sul tavolo c'erano problemi comuni e il feeling nel dialogo era cementato anche dall'uso del francese. Sarà un punto di vista personale, ma riflettere sul francese serve a capire che, al posto di dare munizioni a chi combatte pro e a chi combatte contro come soldati d'opposte fazioni, si tratta di capirne tutti le utilità e sfruttarne le potenzialità, trovando i modi per fare amare questa lingua nella comunicazione dentro e fuori la nostra comunità e non farla odiare per usi freddi e burocratici.