I terremoti, con buona pace dei titolisti dei giornali, non sono, esattamente come accade per gli altri fenomeni distruttivi, né buoni né cattivi: sono la normalità della Natura, cui siamo portati a dare sentimenti umani che non può avere se non tramite noi. Questo vale anche per quelli che hanno sempre colpito - la casistica nei secoli è ben nota - le zone appenniniche, di cui ci tocca con tristezza riparlare in questi giorni. Con l'affinamento della ricerca scientifica oggi siamo in grado di capire meglio i meccanismi che li determinano, ma purtroppo resta il problema di non essere in grado di prevederli, come ben chiarito, anche se non ce n'era bisogno, dalle perizie tecniche conseguenti ad un celebre processo d'Appello svoltosi a L'Aquila, dopo il sisma distruttivo che colpì la città e i paesi vicini e che qualche giudice di primo grado aveva creduto si potesse, chissà come, presagire.
La questione, semmai, è come convivere con il sisma e costruire case e infrastrutture che abbiano una capacità di resistere alle scosse, sapendo che non esiste un metodo per prevenire il terremoto, ma solo la possibilità di minimizzare l'evento. E' chiaro che le norme in vigore per le costruzioni più recenti non sono state prese sul serio e così non solo sono crollate le costruzioni antiche o vecchie ma pure quelle realizzate di recente per l'evidente complicità di progettisti, tecnici e costruttori. Certo costruire con le necessarie accortezze costa di più, però in gioco c'è la vita e forse anche qualcosa di più: mi riferisco al rischio, ben evidente, che larghe zone di montagna considerate a rischio, già gravemente colpite dallo spopolamento per la crisi sociale ed economica profonda di quelle zone, possano essere definitivamente abbandonate per la paura e per le lungaggini di una ricostruzione assai complessa. La Valle d'Aosta - l'ho ricordato poco tempo fa - come scritto da Ornella Maglione nella pubblicazione regionale, con fondi europei, intitolata: "Tra scosse e sussulti. Storia dei terremoti in Valle d'Aosta" di terremoti "piuttosto forti", uguali o maggiori del quinto grado della "scala Mercalli", ne ha avuti di certificabili solo sei: 1755, 1855, 1880, 1892, 1905 e 1968. Nei secoli precedenti è difficile capire se quelli che vengono segnalati come terremoti lo fossero o meno. Oggettivamente dunque la pericolosità da noi è bassa, anche se le nuove costruzioni devono tenere conto degli accorgimenti antisismici. Piuttosto da noi tutti gli aspetti di prevenzioni devono essere incentrati su quei rischi idrogeologici che riguardano dagli studi tutti i Comuni della Valle: dopo l'alluvione disastrosa del 2000, nel solco di fenomeni gravi che nei secoli hanno colpito il nostro territorio, si sono sviluppate analisi zona per zona molto approfondite e oggi una cartografia di dettaglio declina la diversa pericolosità per ogni luogo. Molte opere di contrasto sono state realizzate nelle località più pericolose, ma molto resta da fare e i costi per dare concretezza ai lavori necessari sono molto salati e l'impoverimento delle casse regionali ha ormai un doppio aspetto. Da una parte è difficile per carenza di soldi dare continuità alle opere con un Piano articolato che metta in sicurezza gli abitanti (comprese le delocalizzazioni), dall'altra se sciaguratamente dovesse tornare un'inondazione distruttiva non avremmo più quelle risorse proprie che consentirono sedici anni fa di operare con efficacia sull'emergenza e nella ricostruzione. Anche questa è l'Autonomia ed il suo ridimensionamento, svuotando il portafoglio, ha anche conseguenze molto concrete come questa ed è bene rifletterci per poi non piangere quando si scopriranno certe evidenze a fronte di necessità improvvise. Lo Stato sulla prevenzione dei rischi idrogeologici promette molto e poi si scopre che agli annunci non seguono mai gli stanziamenti necessari. Brutta storia, insomma, e dunque ragioniamoci!