La reazione rabbiosa di Matteo Renzi e di molti deputati del Partito Democratico alla sentenza della Consulta che svuota, perché ha violato la Costituzione, la "riforma Madia" sulla pubblica amministrazione è preoccupante e dimostra disprezzo per le istituzioni e per la democrazia. Dimostrazione chiara che ormai il progetto renziano di un'Italia nelle mani di una sola persona e dei suoi amici, basata su un centralismo assillante, mascherato dalla governabilità, è diventato un patrimonio comune anche di persone rispettabili, vittime del carisma del leader che li sta portando dove vogliono le sue ambizioni e la smania di potere. Riepiloghiamo i fatti con il comunicato della Corte: "La Corte costituzionale è stata chiamata a giudicare la legittimità costituzionale di alcune norme della legge di riforma delle amministrazioni pubbliche (legge n. 124 del 2015), su ricorso della Regione Veneto. Le norme impugnate delegano il Governo a adottare decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, in una prospettiva unitaria. Esse spaziano dalla cittadinanza digitale (art. 1), alla dirigenza pubblica (art. 11), dal lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (art. 17), alle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche (art. 18), ai servizi pubblici locali di interesse economico generale (art. 19) e proprio per questo influiscono su varie materie, cui corrispondono interessi e competenze sia statali, sia regionali (e, in alcuni casi, degli enti locali)".
Per questo motivo, la Corte costituzionale ha affermato che occorre, anzitutto, verificare se, nei singoli settori in cui intervengono le norme impugnate, fra le varie materie coinvolte, ve ne sia una, di competenza dello Stato, cui ricondurre, in maniera prevalente, il disegno riformatore nel suo complesso. Questa prevalenza escluderebbe la violazione delle competenze regionali. Quando non è possibile individuare una materia di competenza dello Stato cui ricondurre, in via prevalente, la normativa impugnata, perché vi è, invece, una concorrenza di competenze, statali e regionali, relative a materie legate in un intreccio inestricabile, è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze. Già in precedenti occasioni, la Corte ha ritenuto che il legislatore statale debba vincolare l'attuazione della propria normativa al raggiungimento di un'intesa, basata sulla reiterazione delle trattative al fine del raggiungimento di un esito consensuale, nella sede della "Conferenza Stato- Regioni" o della "Conferenza unificata", a seconda che siano in discussione solo interessi e competenze statali e regionali o anche degli enti locali. Nella giurisprudenza della Corte le Conferenze sono ritenute una delle sedi più qualificate per realizzare la leale collaborazione e consentire, in specie, alle Regioni di svolgere un ruolo costruttivo nella determinazione del contenuto di atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale. In questa sentenza la Corte afferma - in senso evolutivo rispetto alla giurisprudenza precedente - che l'intesa nella Conferenza è un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati, che il Governo adotta sulla base di quanto stabilito dall'articolo 76 della Costituzione. Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati a tutte le indicazioni contenute nella Costituzione e nella legge delega, non possono sottrarsi alla procedura concertativa, proprio per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze". Su "Huffington Post" Carlo Renda così racconta di Renzi: «La reazione di Renzi alla notizia è evidentemente di fastidio. Non sono le sue parole a provare a nasconderlo. "Questo Paese è bloccato" afferma il premier. "Noi avevamo fatto un decreto per rendere licenziabile il dirigente che non si comporta bene e la Consulta ha detto che siccome non c'è intesa con le Regioni la norma è illegittima. E poi mi dicono che non devo cambiare le regole del Titolo V. Questo Paese è bloccato". Ed ancora: "A voi sembra normale un meccanismo del genere? Questa è una legge che è stata votata in parlamento! E' chiaro il meccanismo? Arriva la sentenza della Corte e dice: eh no. Io non entro nel merito della discussione, ma vi sembra governabile un Paese in cui a forza di questi meccanismi tutto è complicato?". La sentenza della Consulta diventa così - anche se con difficoltà - arma di campagna elettorale per spingere sull'acceleratore del cambiamento. Il "Comitato Basta un sì" fa immediatamente notare che la riforma costituzionale su cui si pronunceranno gli italiani "permetterebbe di superare" il conflitto Stato-Regioni, "riportando la gestione della pubblica amministrazione, com'è giusto che sia, alla competenza dello Stato, evitando dannosi conflitti con le Regioni. Un motivo in più, insomma, per votare "sì" al referendum del 4 dicembre" dicono". Al posto di capire la gravità delle violazioni costituzionali di cui è stato autore, Renzi reagisce con attacchi e strumentalizzazioni in spregio alla Consulta e al buonsenso, usando una batosta per fare propaganda. Speriamo che fra una settimana siano i cittadini a rimetterlo in riga votando "no" ad una riforma che distruggerebbe l'impianto democratico della Repubblica.