Il conto alla rovescia per il Natale è ormai seriamente avviato, anche se sarà sfortunatamente di domenica e la neve nel fondovalle non ci sarà e questo va considerato un autentico accidente. Guardo in televisione certi film natalizi con ambiente innevato e ciò corrisponde esattamente a certe immagini che ho del passato, prima che quell'AntiNatale dell'Anticiclone delle Azzorre decidesse - maledetto! - di turbare quella meravigliosa realtà. Ma torno serio. Ricordo di essermi vergognato quella volta in cui dissi ad un mio caro cugino, più grande di qualche anno, quanto fossero noiosi i miei genitori e non ricordo in verità per quale circostanza esatta ne parlassi. Mi gelò con un sorriso bonario: «A me i genitori sono morti entrambi a distanza di pochi mesi quando avevo diciotto anni. Preferirei averli ancora, anche se noiosi». Touché e lezione di vita nella memoria e buona per sempre.
Devo dire che l'esperienza aiuta a dire che ogni tanto da qualche brutta gaffe nasce un fiore. O forse, come diceva Indro Montanelli, «Fra gli errori ci sono quelli che puzzano di fogna, e quelli che odorano di bucato». Ho spesso ripensato a quell'episodio infelice con l'approssimarsi delle festività natalizie, perché nelle chiacchiere quotidiane - anche quelle più banali da capannello da macchina del caffè - questa storia dei "pranzi familiari comandati" viene agitata come un classico del disagio. Ad essere sincero a me, da bambino, il pasto del giorno di Natale a casa di via Sant'Anselmo ad Aosta della zia Eugénie metteva solo allegria e la giornata era scandita da visite di cortesia precedenti e successive da zii e zie del ramo paterno. Poi con il passare degli anni, quando ricostruisci certi passaggi con gli occhi da adulto, ti rendi conto che in certa meccanica di assenze e presenze, battute e repliche c'era anche lì quella dinamica dei rapporti familiari che è fatta di tante cose delicate (sul ramo materno si potrebbe scrivere un libro...). Per cui è vero che il rischio di certe retrouvailles con i parenti è che si possa - come si pensa già con preoccupazione a qualche giorno dal solito rito - finire in risse più o meno verbali a secondo del grado di tensione e di litigiosità che si manifesta in certe occasioni obbligate. Quel che fa ridere è che questa constatazione - che pure avrà delle brillanti eccezioni - avviene in barba ad uno dei più grandi esercizi retorici cui siamo sottoposti fin dalla più tenera infanzia: il "buonismo natalizio", che rischia di restare un "vuoto a perdere" senza un contesto che lo renda in qualche modo reale. E' interessante a questo proposito l'insieme di riflessioni, scritte nel 1947 e la data è significativa dopo gli orrori della guerra, dallo scrittore Georges Bernanos proprio sul Natale. «On est en droit de se demander s'il y aurait encore longtemps des nuits de Noël avec leurs anges et leurs bergers, pour ce monde féroce, si éloigné de l'enfance, si étranger à l'esprit d'enfance, avec son réalisme borné, son mépris du risque, sa haine de l'effort qui s'accorde beaucoup moins paradoxalement qu'on ne pense à son délire d'activité, à son agitation convulsive. Que viendra faire dans un monde tel que celui-ci un jour consacré depuis deux millénaires non seulement au plus auguste des mystères de notre foi, mais à l'enfance éternelle qui à chaque génération fait déborder à travers nos cloaques son flot irrésistible d'enthousiasme et de pureté?». E' un interrogativo terribile quello posto rispetto ad un mondo che sembra troppo spesso chiuso e senile, dove l'entusiasmo dell’infanzia - pensiamo al nostro Occidente a crescita zero - rischia di essere oggetto dell'egoismo delle generazioni più anziane. Per reagire bisogna partecipare allo spirito del Natale non per una visione dickensiana, nel filone di un umanesimo ottocentesco, ma perché si tratta di un momento nel quale bisogna cercare davvero distillare quanto di positivo ci può essere e questo può fortificare anche noi e non solo i bambini, ormai minoranza che fa tenerezza.
P.S.: pare ora - siamo domenica sera - che la neve arriverà: dita incrociate!