Certo che è proprio vero che il Caso ogni tanto ci mette lo zampino. L'altro giorno al Parlamento europeo e ieri sulla mia posta elettronica ho letto di un appuntamento per questa sera all'"Istituto Italiano di Cultura" di Bruxelles - in occasione dell'imminente "Giornata della Memoria" - con questo titolo: "Emanuele Artom - Un eroe della Resistenza contro i nazifascisti". Scopro così che questo martire partigiano era nato ad Aosta: non ricordavo, per mia ignoranza, di averne mai sentito parlare. Sempre ieri per caso, avendo posteggiato lì vicino, ho attraversato la "Cittadella dei Giovani" di Aosta ed ho notato apposta sul muro una targa commemorativa proprio dei due fratelli Artom. Una strana combinazione e occasione per approfondire. Trovo, per questa decisione del Consiglio comunale di Aosta di apporre lì una lapide, una nota scritta dal proponente, Paolo Momigliano Levi, storico e consigliere comunale, che così spiega sui due fratelli: "Emanuele ed Ennio Artom, nacquero entrambi ad Aosta. Emanuele il 23 giugno del 1915, Ennio il 25 aprile del 1920. Erano figli di Emilio, docente di matematica e studioso di cultura ebraica. e di Amalia Segre. I genitori si erano trasferiti da Torino ad Aosta dove nel 1911 fu assegnata al professor Emilio Artom la cattedra presso la Scuola Normale, dove insegnò sino al 1920, salvo la parentesi della prima guerra mondiale a cui partecipò come volontario".
"Emanuele si laureerà in Lettere all'Università di Milano - continua - con una tesi sul "Tramonto degli Anonei" nel 1937. Dopo la laurea, nonostante le leggi razziali del 1938, e grazie alla stima che si conquistò presso il professor Luigi Bulferretti, direttore del Museo nazionale del Risorgimento di Torino, poté approfondire lo studio del contributo dato dagli ebrei al Risorgimento italiano, dopo la loro emancipazione, sancita dallo Statuto Albertino del 1848. Ennio, che a soli sedici anni s'iscrisse all'Università, di Torino a venti anni conseguì la laurea in Lettere. Ma, un mese dopo, il 29 luglio del 1940, sarà vittima di un banale incidente al rientro da un'escursione a Courmayeur, dove la famiglia aveva una casa per le vacanze. Il suo valore di studioso di glottologia fu sottolineato da Benvenuto Terracini, che commemorò Ennio Artom in un discorso tenuto a Torino l'8 dicembre del 1940. Nei giorni immediatamente successivi all'armistizio dell'8 settembre 1943, Emanuele Artom lascia il paese di Moribondo, dove si rifugia la sua famiglia, per sottrarsi all'arresto alla deportazione in Germania in quanto ebrei, ed il 7 novembre entra nelle bande partigiane legate al movimento politico dell' Italia libera: nella Val Pellice raggiunge Barge dove è stato inviato come delegato del Partito d'Azione presso il comando garibaldino di Pompeo Colajanni, il partigiano "Barbato". Nei mesi successivi è nominato Commissario politico e Comandante di brigata della quinta Divisione G.L, nella Val Germanasca. Dal novembre del 1943 al 23 febbraio del 1944 tiene un diario (pubblicato postumo) sulle vicende partigiane di cui è stato protagonista e testimone. Arrestato dai nazifascisti, che, contemporaneamente, avevano effettuato grandi rastrellamenti nella Val Germanasca e nella Val Pellice, Emanuele Artom, dopo essere stato interrogato a lungo e torturato con efferata ferocia, il 3 marzo sarà trasferito a Torino nel braccio delle Carceri Nuove controllato dai tedeschi. Il 7 aprile gli aguzzini trovarono esanime il corpo di Emanuele, ucciso dalle percosse. Il suo cadavere, sotterrato in un bosco nei presi di Stupinigi, non sarà ritrovato. Sia Ennio, sia Emanuele condivisero con i loro coetanei la loro precoce e straordinaria formazione culturale e civile, negli anni della dittatura e delle persecuzioni "razziali". La Città di Torino ha intitolato ad Emanuele Artom una strada, mentre una lapide lo ricorda alla biblioteca della Facoltà di Lettere dell'Università di Torino". Ho ritrovato sul Web ampi brani di questo suo diario partigiano. Annoto due flash lucidissimi. Il primo che spiega il perché di questa scelta di scrivere della sua esperienza: «Bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova rettorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi: siamo quello che siamo: un complesso di individui in parte disinteressati e in buona fede, in parte arrivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania, in parte spinti dal desiderio di avventura, in parte da quello di rapina. Gli uomini sono uomini». Il secondo fa impressione anch'esso e ne fa apprezzare il peso di giovane azionista: «Domani dovrà regnare la libertà. Inoltre si è sempre detto che la salvezza dell'Italia era il menefreghismo, l'indifferenza dei fascisti che attutiva ogni elemento radicale del fascismo. Cosa avverrebbe domani se un governo assoluto cadesse nelle mani di fanatici, incapaci di discutere e di dubitare, esasperati dalle persecuzioni, pronti a dare la vita, come hanno già sacrificato la propria personalità? I Fascisti fanno schifo, i Nazisti orrore, i Comunisti spavento». Aggiunge qualche elemento sulla sua vita, finita prematuramente, una scheda sui partigiani rinvenibile su Internet: "Ebbe Augusto Monti come maestro al Liceo D'Azeglio, che lo iniziò alla filosofia crociana e allo studio della cultura classica. Nella facoltà torinese di lettere entrò nell'autunno del 1933, dove seguì i corsi di Santorre Debenedetti per la filologia romanza; ma non s'accontentava della ricerca pura, sapeva sorridere e amava giocare con le parole: con il "Guido" immortalato da Primo Levi in uno dei suoi racconti più esilaranti (Un lungo duello) - che in realtà si chiamava Guido Bonfiglioli - pubblicò nell'anno della laurea, il 1937, un'antologia di parodie poetiche ispirate al mito di Elena. Mano a mano che ci si avvicina al 1938 i suoi interessi di ricerca evolvono dalla storia antica verso la storia del Risorgimento. Si avvicina alla casa editrice Einaudi, avvia un dialogo epistolare piuttosto interessante con Cesare Pavese, che gli affida in traduzione un'opera minore di Erodoto. Legge per la prima volta Kafka e Dostoevskij, da Santorre Debenedetti riceve in lettura i manoscritti di una scrittrice debuttante, Alessandra Tornimparte, alias Natalia Levi Ginzburg, di cui dà nei diari un curioso giudizio critico. La scelta partigiana è immediata, novembre 1943. Luogo prescelto le valli valdesi. Al momento del suo ingresso in banda le riflessioni diaristiche, iniziate prima della guerra, s'infittiscono. Nel marzo 1944 i rastrellamenti tedeschi nelle valli Germanasca e Chisone costringono Emanuele e i suoi a fuggire verso il colle Giulian, ma vengono raggiunti dai tedeschi. Con altri compagni viene portato alle Nuove. La sua immagine, deturpata, con la dicitura "Bandito ebreo catturato", apparirà sul settimanale bilingue "Der Adler". Verrà ritrovato morto in una cella la mattina del 7 aprile: "Il suo corpo era spaventosamente livido", ricorderà un testimone, Gino Sandri (Ming). Nei boschi di Stupinigi, sulle rive del Sangone, alla periferia di Torino, dove si disse che era stato sepolto, il suo corpo non è mai stato trovato". E' stata una personalità di grande spessore morta prematuramente - come molte altre in quelle circostanze - per via degli orrori della sanguinosa e violenta Seconda Guerra Mondiale, le cui conseguenze terribili sembrano dimenticate da troppi in questo mondo che sembra di nuovo giocare con il fuoco di un conflitto totale con armi che potrebbero far scomparire l'intera Umanità.